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Archivio luce sul mistero

Archivio luce sul mistero (242)

Domenica, 09 Marzo 2014 07:35

Dio non fa mercato dei suoi doni

284Il racconto delle tentazioni ci chiama al lavoro mai finito di mettere ordine nelle nostre scelte, a sce­gliere come vivere Le tentazioni di Gesù sono anche le nostre: investono l'intero mondo delle rela­zioni quotidiane. La prima tentazione concerne il rapporto con noi stessi e con le cose (l'illusione che i beni riempiano la vita). La seconda è una sfida aperta alla nostra relazione con Dio (un Dio magico a nostro servizio). La terza infine riguarda la relazione con gli altri (la fame di potere, l'amore per la forza). Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, ma Gesù risponde giocando al rialzo, offrendo più vita: «Non di solo pane vivrà l'uomo». Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio, il pane dà vita ma più vita viene dalla bocca di Dio. Accende in noi una fame di cielo: L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Parola di Dio è il Vangelo, ma anche l'intero creato. Se l'uomo vive di ciò che viene da Dio, io vivo della luce, del cosmo, ma anche di te: fratello, amico, amore, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me. La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati e credi in un miracolo». Quello che sembrerebbe il più alto atto di fede - gettati con fiducia! - ne è, invece, la caricatura, pura ricerca del proprio vantaggio. Gesù ci mette in guardia dal volere un Dio magico a nostra disposizione, dal cercare non Dio ma i suoi benefici, non il Donatore ma i suoi doni. «Non tentare il Signore»: io so che sarà con me, ma come lui vorrà, non come io vorrei. Forse non mi darà tutto ciò che chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve, tutto ciò di cui ho bisogno. Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Il diavolo fa un mercato, esattamente il contrario di Dio, che non fa mai mercato dei suoi doni. È come se dicesse: Gesù, vuoi cambiare il corso della storia con la croce? non funzionerà. Il mondo è già tutto una selva di croci. Cosa se ne fa di un crocifisso in più? Il mondo ha dei problemi, tu devi risolverli. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le leggi. Così risolverai i problemi: con rapporti di forza e d'inganno, non con l'amore. «Ed ecco angeli si avvicinarono e lo servivano». Avvicinarsi e servire, verbi da angeli. Se in questa Quaresima ognuno di noi volesse avvicinarsi e prendersi cura di una persona che ha bisogno, perché malata o sola o povera, regalando un po' di tempo e un po' di cuore, allora per lei sarebbe come se si avvicinasse un angelo, come se fiorissero angeli nel nostro deserto.
 
Sabato, 01 Marzo 2014 10:15

Dipendenti dal cielo

283Gesù rilancia la sua sfida per un altro modo di essere uomini: non preoccupatevi delle cose, c'è dell'altro che vale di più. È la sfida contenuta nella preghiera nel Padre Nostro: dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ti chiediamo solo il pane sufficiente per oggi, il pane che basta giorno per giorno, come la manna nel deserto, non l'affanno del di più. È la sfida del monaco: conosco monasteri che vivono così, come uccelli e come gigli, quotidianamente dipendenti dal cielo. Ma questa sfida è anche per tutti noi, pieni di cose e spaventati dal futuro. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consapevolezza, libertà, amore. Vuoi volare alto, come un uccello, vuoi fiorire nella vita come un giglio? Allora devi deporre dei pesi. Madre Teresa di Calcutta soleva dire: tutto ciò che non serve pesa! Meno cose e più cuore! Non una rinuncia, ma una liberazione. Dalle cose, dalla 'roba' diventata padrona dei pensieri. Guardate gli uccelli del cielo... Osservate i gigli del campo... se l'uccello avesse paura perché domani può arrivare il falco o il cacciatore, non canterebbe più, non sarebbe più una nota di libertà nell'azzurro. Se il giglio temesse la tempesta che domani può arrivare, o ricordasse il temporale di ieri, non fiorirebbe più. Gesù osserva la vita, e la vita gli parla di fiducia e di Dio. E a noi dice: beati i puri di cuore perché vedranno Dio, vedranno in tutto ciò che esiste un punto verginale e fiducioso che è la presenza di Dio, vi scopriranno un altare dove si celebra la comunione tra visibile e invisibile. Allora: non affannatevi, quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contemplare un fiore, una musica, la primavera. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in più. Non è moralista il Vangelo, non si oppone al desiderio di cibo e vestito, dicendo: è sbagliato, è peccato, non serve. Anzi, tutto questo lo avrete, ma in tutt'altra luce. «Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione» ( Vannucci). Libera dai piccoli desideri, per desiderare di più e meglio, per cercare ciò che fa volare, ciò che fa fiorire e ti mette in armonia con tutto ciò che vive. Insegna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole creature e con Dio. Cercate il regno, occupatevi della vita interiore, delle relazioni, del cuore; cercate pace per voi e per gli altri, giustizia per voi e per gli altri, amore per voi e per gli altri. Meno cose e più cuore! E troverete libertà e volo.
 
Sabato, 22 Febbraio 2014 23:26

Il primo passo

282Avete inteso che fu detto: occhio per occhio... Ma io vi dico se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra: sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difen­dere, e l'altro capirà l'assurdo di esserti nemico. Tu porgi l'altra guancia; non la passività morbosa di chi ha paura, ma una iniziativa decisa: riallaccia tu la relazione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricominciando, rattoppando coraggiosamente il tessuto della vita, continuamente lacerato. Il cristianesimo non è una religione di servi, che si mortificano e si umiliano e non reagiscono; non è «la morale dei deboli che nega la gioia di vivere» (Nietzsche). Ma la religione dei re, degli uomini totalmente liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventare reazioni nuove, attraverso la creatività dell'amore, che fa saltare i piani, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole ma poi rende felici. Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico, Ma io vi dico: amate i vostri nemici. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. Violenza produce violenza come un catena infinita. Lui sceglie di spezzarla. Mi chiede di non replicare su altri ciò che ho subito. Ed è così che mi libero. Tutto il Vangelo è qui: amatevi altrimenti vi distruggerete. Cosa possono significare allora gli imperativi di Gesù: amate, pregate, porgete, prestate? Non sono ordini, non si ama infatti per decreto, ma porte spalancate verso delle possibilità, offerta di un potere, trasmissione da Dio all'uomo di una forza divina. E tutto questo perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da Padre a fi­gli: c'è come una trasmissione di eredità, un'eredità di comportamenti, di affetti, di valori, di forza. Voi potete amare anche i nemici, potete fare l'impossibile, io ve ne darò la capacità se lo desiderate, se me lo chiedete, e proseguite sulla strada del cambiamento interiore, della conformazione al Padre. Allora capisco: io posso (potrò) amare come Dio! Ci sarà dato un giorno il cuore stesso di Dio. Ogni volta che noi chiediamo al Signore: «Donaci un cuore nuovo», noi stiamo invocando di poter avere un giorno il cuore di Dio, di conformarci agli stessi sentimenti del cuore di Dio. È straordinario, verrà il giorno in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a imparare l'amore, sarà il cuore di Dio e allora saremo capaci di un amore che rimane in eterno, che sarà la nostra anima, per sempre, e l'anima del mondo.
Sabato, 15 Febbraio 2014 07:29

Parole da vertigini

281Avete inteso che fu detto, ma io vi dico... Gesù non annuncia una nuova morale più esigente e impegnativa. Queste, che sono tra le pagine più radicali del Vangelo, sono anche le più umane, perché qui ritroviamo la radice della vita buona. Il discorso della montagna vuole condurci alla radice, lungo una doppia direttrice: la linea del cuore e la linea della persona. Il grande principio di Gesù è il ritorno al cuore, che è il laboratorio dove si forma ciò che poi uscirà fuori e prenderà figura di parola, gesto, atto. È necessa­rio guarire il cuore per guarire la vita. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira, chiunque alimenta dentro di sé rabbie e rancori, è già omicida. Gesù risale alla radice prima, a ciò che genera la morte o la vita. E che san Giovanni esprimerà in un'affermazione colossale: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1Gv 3,15). Cioè: chi non ama uccide. Non amare qualcuno è togliergli vita; non amare è un lento morire. Ma io vi dico: non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù arriva al divieto della menzogna. Di' la verità sempre, e non servirà più giu­rare. Così porta a compi­mento, sulla linea del cuore, le conseguenze già implicite nella legge antica. E poi la linea della persona: Se tu guardi una donna per desiderarla sei già adultero... Non dice: se tu, uomo, desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio è un servitore indocile, ma importante. Dice: Chi guarda per desiderare, e vuol dire: se tu guardi solo per il tuo desiderio, se guardi il suo corpo per il tuo piacere, allora tu pecchi contro la sua persona. Tu allora sei un adultero, nel senso originario di adulterare: tu falsifichi, tu inquini, tu impoverisci la persona. Perché riduci a oggetto per te, a corpo usa e getta la persona, che invece è abisso, oceano, cielo, angelo, profondità, vertigine. Pecchi non tanto contro la legge, ma contro la profondità e la dignità della persona, che è icona di Dio. Perché la legge è sempre rivelazione dei comportamenti che fanno crescere l'uomo in umanità, o che ne diminuiscono l'umanità e la grandezza, che è come dire rivelazione di ciò che rende felice l'uomo. È un unico salto di qualità quello che Gesù propone, la svolta fondamentale: passare dalla legge alla persona, dall'esterno all'interno, dalla religione del fare a quella dell'essere. Il ritorno al cuore, là dove nascono i grandi «perché» delle azioni. Allora il vangelo è facile, umanissimo, anche quando dice parole come queste, che danno le vertigini.
 
Sabato, 08 Febbraio 2014 22:51

Dio è luce

280Dio è luce: una delle più belle definizio­ni di Dio (1 Giovanni 1,5). Ma il Vangelo oggi rilancia: anche voi siete luce. Una delle più belle definizioni dell'uomo. E non dice: voi dovete essere, sforzatevi di diventare, ma voi siete già luce. La luce non è un dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio. La Parola mi assicura che in qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, noi tutti, con Dio in cuore, siamo luce da luce, proprio come proclamiamo di Gesù nella professione di fede: Dio da Dio, luce da luce. Io non sono né luce né sa­le, lo so bene, per lunga esperienza. Eppure il Vangelo parla di me a me, e dice: Non fermarti alla superficie, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore; là, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto, ma una responsabilità. Voi siete la luce, non io o tu, ma voi. Quando un io e un tu s'incontrano generando un noi, quando due sulla terra si amano, nel noi della famiglia dove ci si vuol bene, nella comunità accogliente, nel gruppo solidale è conservato senso e sale del vivere. Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce: Spezza il tuo pane, introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente... Allora la tua luce sorgerà come l'aurora (Isaia 58,10). Tutto un incalzare di azioni: non restare curvo sulle tue storie e sul­le tue sconfitte, ma occu­pati della città e della tua gente, illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirà la tua vita. Voi siete il sale, «che ascende dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole. Allo stesso modo il discepolo ascende, rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina» (Vannucci). Ma poi discende sulla mensa, perché se resta chiuso in sé non serve a niente: deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi. Il sale dà sapore: Io non ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2 ,1 -5). «Sapere» è molto più che «conoscere»: è avere il sapore di Cristo. E accade quando Cristo, come sale, è disciolto dentro di me; quando, come pane, penetra in tutte le fibre della vita e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore. Il sale conserva. Gesù non dice «voi siete il miele del mondo», un generico buonismo che rende tutto accettabile, ma il sale, qualcosa che è una forza, un istinto di vita che penetra le scelte, si oppone al degrado delle cose, e rilancia ciò che merita futuro.
 
Venerdì, 31 Gennaio 2014 13:14

Gesù appartiene all’uomo

279Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio per presentarlo al Signore, ma non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna se lo contendono: Gesù non appartiene al tempio, egli appartiene all'uomo. È nostro, di tutti gli uomini e le donne assetati, di quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; di quelli che sanno vedere oltre, come Anna, e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. Gesù non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo, due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio. Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io le conservassi nel cuore: tu non morirai senza aver visto il Signore. La tua vita non si spegnerà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per me il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire. Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, già in atto, di un Dio all'opera tra noi, lievito nel nostro pane. Simeone aspettava la consolazione di Israele. Lui sapeva aspettare, come chi ha speranza. Come lui il cristiano è il contrario di chi non si aspetta più niente, ma crede tenacemente che qualcosa può accadere. Se aspetti, gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili e vedono: ho visto la luce preparata per i popoli. Ma quale luce emana da questo piccolo figlio della terra? La luce è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, mescola la sua vita alle nostre. E a quella di tutti i popoli, di tutte le genti... la salvezza non è un fatto individuale, che riguarda solo la mia vita: o ci salveremo tutti insieme o periremo tutti. Simeone dice poi tre parole immense a Maria, e che sono per noi: egli è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione. Cristo come caduta e contraddizione. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, che fa cadere in rovina il nostro mondo di maschere e bugie, che contraddice la quieta mediocrità, il disamore e le idee false di Dio. Cristo come risurrezione: forza che mi ha fatto ripartire quando avevo il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. Risurrezione della nobiltà che è in ogni uomo, anche il più perduto e disperato. Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro alla vita, aprono brecce. Gesù ha il luminoso potere di far vedere che le cose sono abitate da un «oltre».
 
Sabato, 25 Gennaio 2014 21:53

Lo sguardo creatore

278La parola inaugurale di Gesù, premessa a tutto il Vangelo è: convertitevi. E subito il «perché» della conversione: perché il regno si è fatto vicino. Ovvero: Dio si è fatto vicino, vicinissimo a te, ti avvolge, è dentro di te. Allora «convértiti» significa: gìrati verso la luce, perché la luce è già qui. La conversione non è la causa ma l'effetto della tua «notte toccata dall'allegria della luce» (Maria Zambrano).  Immaginavo la conversione come un fare penitenza del passato, come una condizione imposta da Dio per il perdono, pensavo di trovare Dio come risultato e ricompensa all'impegno. Ma che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni? Gesù viene a rivelarci che il movimento è esattamente l'inverso: è Lui che mi incontra, che mi raggiunge, mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualcosa, prima che io sia buono, Lui mi è venuto vicino. Allora io cambio vita, cambio luce, cambio il modo di intendere le cose. Scrive padre Vannucci: «la verità è che noi siamo immersi in un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto». Quando finalmente me ne rendo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a Paolo a Damasco. Abbandono le barche come i quattro pescatori, lascio le piccole reti per qualcosa di ben più grande. Gesù passando vide... Due coppie di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di più: in Si­mone bar Jona vede Kefa', Pietro, la roccia su cui fondare la sua chiesa; in Giovanni intuisce il discepolo dalla più folgorante definizione di Dio: Dio è amore; Giacomo sarà «figlio del tuono», uno che ha dentro la vibrazione e la potenza del tuono. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo creatore, una profezia. Mi guarda, e vede in me un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura, una generosità che non sapevo di avere, strade nel sole. Nel suo sguardo vedo per me la luce di orizzonti più grandi.  Venite dietro a me: vi farò pescatori di uomini. Raccoglieremo uomini per la vita. Li porteremo dalla vita sepolta alla vita nel sole. Risponderemo alla loro fame di libertà, amore, felicità. I quattro pescatori lo seguono subito, senza sapere dove li condurrà, senza neppure do­mandarselo: hanno dentro ormai le strade del mondo e il cuore di Dio. Gesù camminava per la Galilea e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. La bella notizia è che Dio cammina con te, senza condizioni, per guarire ogni male, per curare le ferite che la vita ti ha inferto, e i tuoi sbagli d'amore. Dio è con te e guarisce. Dio è con te, con amore: la sola cosa che guarisce la vita.  Questo è il Vangelo di Gesù: Dio con voi, con amore.
 
Sabato, 18 Gennaio 2014 20:04

Breccia d’amore

277Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Ecco l'agnello, ecco il piccolo animale sacri­ficato, il sangue sparso, la vittima innocente. Ma di che cosa è vittima Gesù?
Forse dell'ira di Dio per i nostri peccati, che si placa solo con il sangue dei sacrifici? Della giustizia di Dio che come risarcimento esige la morte dell'unico innocente? No, Dio aveva già detto per bocca di Isaia: sono stanco dei tuoi sacrifici senza numero. Io non bevo il sangue dei tuoi agnelli, io non mangio la loro carne (cf. Isaia 1, 11). Appare invece il capovolgimento totale portato da Gesù: in tutte le religioni l'uomo sacrifica qualcosa per Dio, ora è Dio che sacrifica se stesso per l'uomo. Dio non esige la vita del peccatore, dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono. E dal suo costato aperto sulla croce non esce vendetta o rabbia, ma sangue e acqua, sangue d'amore, acqua di vita, la capacità di amare sempre e comunque. Di che cosa è vittima allora l'Agnello di Dio? Gesù è vittima d'amore. Scrive Origene: «Dio prima ha sofferto, poi si è incarnato. Ha sofferto perché caritas est passio», la sofferenza di Dio è figlia della sua passione d'amore; ha sofferto vedendo il male che l'uomo ha e fa', sentendolo far piaga nel suo cuore; ha sofferto per amore. Gesù è vittima della violenza. Ha sfidato e smascherato la violenza, padrona e signora della terra, con l'amore. E la violenza non ha potuto sopportare l'unico uomo che ne era totalmente libero. E ha convocato i suoi adepti e ha ucciso l'agnello, il mite, l'uomo della tenerezza. Gesù è l'ultima vittima della violenza, perché non ci siano più vittime. Doveva essere l'ultimo ucciso, perché nessuno fosse più ucciso. Giovanni diceva parole folgoranti: «Ecco la morte di Dio perché non ci sia più morte», e la nostra mente può solo affacciarsi ai bordi di questo abisso. Ecco colui che toglie il peccato; non un verbo al futuro, nell'attesa; non al passato, come un fatto concluso, ma al presente: ecco colui che in­stancabilmente continua a togliere, a raschiare via il mio peccato di adesso. E come? Con il castigo? No, con il bene. Per vincere la notte incomincia a soffiare la luce del giorno, per vincere la steppa sterile semina milioni di semi, per disarmare la vendetta porge l'altra guancia, per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano. Noi siamo inviati per essere breccia di questo amore, braccia aperte donate da Dio al mondo, piccolo segno che ogni creatura sotto il sole è amata teneramente dal nostro Dio, agnello mite e forte che dona se stesso.
Sabato, 11 Gennaio 2014 08:39

Lo Spirito e l’acqua

276Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli, e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui. Lo Spirito e l'acqua sono le più antiche presenze della Bibbia, entrano in scena già dal secondo versetto della Genesi: la terra era informe e deserta, ma «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque».Il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza dello Spirito sulle acque. Come una colomba che cerca il suo nido, che cova la vita che sta per nascere. Da allora sempre lo Spirito e l'acqua sono legati al sorgere della vita. Per questo sono presenti nel Battesimo di Gesù e nel nostro Battesimo: come vita sorgente. Di quale vita si tratta? Lo spiega la Voce dal cielo: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. «Figlio» è la prima parola. Ogni figlio vive della vita del padre, non ha in se stesso la propria sorgente, viene da un altro. Quella stessa voce è scesa sul nostro Battesimo e ci ha dichiarati figli, i quali non da carne né da volere d'uomo ma da Dio sono stati generati ( Gv 1,13). Battesimo significa immersione: siamo stati immersi dentro la Sorgente, ma non come due cose separate ed in fondo estranee, come il vestito e il corpo, ma per di­ventare un'unica cosa, come l'acqua e la Sorgente, come il tralcio e la Vite: la nostra carne in Dio in risposta a Dio nella nostra carne, il farsi uomo di Dio che genera 'l'indiarsi' (Dante) dell'uomo. Il nostro abitare in Dio dopo che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), il mio Natale dopo il suo Natale. Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno appena ti svegli, il tuo nome per Dio è «amato». Immeritato amore, che precede ogni risposta, lucente pregiudizio di Dio su ogni creatura. Mio compiacimento è la terza parola. Termine raro e prezioso che significa: tu - figlio - mi piaci. C'è dentro una gioia, un'esultanza, una soddisfazione, c'è un Dio che trova piacere a stare con me e mi dice: tu, gioia mia! E mi domando quale gioia posso regalare al Padre, io che l'ho ascoltato e non mi sono mosso, che non l'ho mai raggiunto e già perduto, e qualche volta l'ho perfino tradito. Solo un amore immotivato spiega queste parole. Amore puro: avere un motivo per amare non è amore vero. E un giorno quando arriverò davanti a Dio ed Egli mi guarderà, so che vedrà un pover'uomo, nient'altro che una canna incrinata, il fumo di uno stoppino smorto. Eppure so che ripeterà proprio a me quelle tre parole: Figlio mio, amore mio, gioia mia. Entra nell'abbraccio di tuo padre!
 
Sabato, 04 Gennaio 2014 15:58

Guardando oltre

275Magi voi siete i santi più nostri, naufraghi sempre in questo infinito, eppure sempre a tentare, a chiedere, a fissare gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore (Turoldo). Messaggi di speranza oggi: c'è un Dio dei lontani, dei cammini, dei cieli aperti, delle dune infinite, e tutti hanno la loro strada. C'è un Dio che ti fa respirare, che sta in una casa e non nel tempio, in Betlemme la piccola, non in Gerusalemme la grande. E gli Erodi possono opporsi alla verità, rallentarne la diffu­sione, ma mai bloccarla, essa vincerà comunque. Anche se è debole come un bambino. Proviamo a percorrere il cammino dei Magi come se fosse una cronaca dell'anima. Il primo passo è in Isaia: «Alza il capo e guarda». Saper uscire dagli schemi, saper correre dietro a un sogno, a una intuizione del cuore, guardando oltre. Il secondo passo: camminare. Per incontrare il Signore occorre viaggiare, con l'intelligenza e con il cuore. Occorre cercare, di libro in libro, ma soprattutto di persona in persona. Allora siamo vivi. Il terzo passo: cercare insieme. I Magi (non «tre» ma «alcuni» secondo il Vangelo) sono un piccolo gruppo che guarda nella stessa direzione, fissano il cielo e gli occhi delle creature, attenti alle stelle e attenti l'uno all'altro. Il quarto passo: non temere gli errori. Il cammino dei Magi è pieno di sbagli: arrivano nella città sbagliata; parlano del bambino con l'uccisore di bambini; perdono la stella, cercano un re e trovano un bimbo, non in trono ma fra le braccia della madre. Eppure non si arrendono ai loro sbagli, hanno l'infinita pazienza di ricominciare, finché al vedere la stella provarono una grandissima gioia. Dio seduce sempre perché parla la lingua della gioia. Entrati in casa videro il Bambino e sua Madre... Non solo Dio è come noi, non solo è con noi, ma è piccolo fra noi. Informatevi con cura del Bambino e fatemelo sapere perché venga anch'io ad adorarlo. Quel re, quell'Erode, uccisore di sogni ancora in fasce, è dentro di noi: è il cinismo, il disprezzo che distrugge i sogni del cuore. Ma io vorrei riscattare le sue parole e ripeterle all'amico, al teologo, al poeta, allo scienziato, al lavoratore, a ciascuno: hai trovato il Bam­bino? Cerca ancora, accuratamente, nei libri, nell'arte, nella storia, nel cuore delle cose; cerca nel Vangelo, nella stella e nella parola, cerca nelle persone, e in fondo alla speranza; cerca con cura, fissando gli abissi del cielo e del cuore, e poi fammelo sapere perché venga anch'io ad adorarlo. Aiutami a trovarlo e verrò, con i miei piccoli doni e con tutta la fierezza dell'amore, a far proteggere i miei sogni da tutti gli Erodi della storia e del cuore.
 
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