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Archivio luce sul mistero

Archivio luce sul mistero (242)

Sabato, 27 Ottobre 2012 13:02

Mendicanti di luce

217La guarigione di Bartimeo è l'ultimo miracolo del Vangelo di Marco. Ultimo e necessario è questo bellissimo racconto, così scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Un mendicante cieco, icona di ogni uomo, mendicante di luce e di strade, di orizzonti e di compassione. Cosa c'è di più perduto, di più inutile, di più naufrago dell'esistenza di un mendicante cieco e solo?

Eppure questo naufrago non è perduto. Alza la voce sul rumore della folla che lo ignora, che lo oltrepassa e va; solo e al buio grida la sua disperata speranza. Un grido che è fisico ma si direbbe viscerale, che sembra salire da ciò che ogni essere ha di più di profondo e di più carnale. Il grido è più che la parola, c'è dentro corpo, energia, dolore, bisogno. È il grido del bambino che nasce, del morente in croce che urla al cielo e alla terra il buio che ha nel cuore. Finché c'è un grido, la speranza ha la sua casa.

Ed ecco dalla folla tre parole: coraggio, alzati, ti chiama: è il nostro triplice ministero. Coraggio! Incoraggiare innanzitutto, dare cuore e speranza, condividere la paura, e inoculare coraggio, frutto della fiducia in Dio, in tutti quelli che gridano dolore. Alzati! Rimettere in piedi, aiutare a ripartire, e mai gettare a terra nessuno, mai demolire nessuno. E io non so come farlo, non lo so davvero. Ma questo racconto mi aiuta: nominare Cristo, annunciare la compassione di Dio equivale a confortare la vita, a rimetterla in piedi.

Ed ecco il terzo ministero: ti chiama, ha ascoltato il tuo grido e ora pronuncia il tuo nome. È Lui che può dare luce, dare occhi profondi che vedono, che vedono il cuore di Dio e il senso della vita. Con una sola espressione Marco ci offre una delle sintesi più belle di cosa sia l'azione pastorale, non compito di esperti ma missione di ogni discepolo: coraggio, alzati, ti chiama. Ed ecco che si libera tutta una energia compressa, l'energia della vita, tutto sembra improvvisamente eccessivo, esagerato. Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello: lo getta; non si alza in piedi, balza. La fede è moltiplicazione di vita, un eccesso illogico e bello, vita in pienezza.

Anche noi, mendicanti di luce, almeno una volta, dietro ad una parola del Vangelo, abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade e forse, quando ci siamo buttati nel volo, si sono aperte strade nel sole, ali che non sapevamo di avere. (E. Ronchi)
Venerdì, 19 Ottobre 2012 21:20

L’amore disarmato

216Vangelo dei paradossi perenni, della più sorprendente auto­definizione di Gesù: «venuto per servire». Tutto nasce dal fatto che Giovanni il teologo, l'aquila, il mistico, il discepolo amato, chiede di essere al primo posto: la ricerca del primo posto è una passione così forte che penetra e avvolge il cuore di tutti. Pericolosamente: «Non sapete quel­lo che chiedete!». Non avete capito ancora a cosa andate incontro, quali argine rompete con questa domanda, che cosa scatenate con questa fame di potere.

Per il Vangelo, invece, essere alla destra e alla sinistra di Cristo, vuol dire occupare due posti sul G olgota, quell'ultimo venerdì; vuol dire es­sere con Gesù lungo tutta la sua vita, quando è voce di Dio e bocca dei poveri, e fa dei piccoli i principi del suo Regno, quando è disarmato amore. Stare a destra e a sinistra di questa vita vuol dire bere alla coppa di chi ama per primo, ama in perdita, ama senza contare e calcolare. Con Gesù, tutto ciò che sappiamo dell'amore è che l'amore è tutto (E.Dickinson). «Sono venuto per essere servo». La più spiazzante di tutte le definizioni di Dio. Parole da vertigine: Dio mio servitore! Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato Lui ai piedi delle sue creature. I grandi della storia erigono troni al proprio ego smisurato, Dio non ha troni, cinge un asciugamano e vorrebbe fasciare le ferite della terra con bende di luce.

Non cercarlo al di sopra dei cieli è disceso e si dirama nelle vene del mondo, non sopra di te ma in basso, il più vicino possibile alla tua piccolezza. Perché essere sopra l'altro è la massima distanza dall'altro. L'Onnipotente può solo ciò che l'amore può: servire ogni respiro, invece di mietere le nostre povere messi seminare ancora ad ogni stagione. Capovolgimento, punto di rottura dei vecchi pensieri su Dio e sull'uomo. Appare un tutt'altro modo di essere da cui germina la parola di Gesù: «Tra voi non sia così!». Tra voi cose di cielo! Tra voi un altro mondo! Tra voi una storia altra, un altro cuore! E farai così, perché così fa Dio.

Ma io tremo se penso alla brocca e all'asciugamano. È così duro servire ogni giorno, custodire germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ciò che nasce. Il cuore è subito stanco. Non resta che lasciarsi abitare da lui, irradiare di vangelo. Se Dio è nostro servitore, servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà.
Sabato, 13 Ottobre 2012 12:13

La vera ricchezza moltiplica il poco

215Una grande domanda, quella dell'uo­mo ricco e senza nome: Maestro buo­no, cosa devo fare per trovare la vita? La risposta di Gesù appare solenne, eppure quasi deludente: elenca cinque comandamenti che riguardano il prossimo, e ne aggiunge un sesto, non frodare. Ma l'uomo ricco non è soddisfatto: «tutto questo l'ho sem­pre osservato. Dovrei essere in pace e invece mi manca qualcosa». Cosa c'è di meglio del dovere compiuto, tutto e sempre? Eppure all'uomo non basta. In- quietudine divina, tarlo luminoso che rode le false paci dell'anima e fa nascere i cercatori di tesori. Gesù lo fissa, dice Marco, come se prima non l'avesse neppure visto, e vede apparire, farsi largo, avanzare un cercatore di vita. E lo ama. Poi parla: vendi tutto, dona ai poveri, segui me. L'uomo si spaventa e si rattrista per quelle tre parole. Marco usa un verbo come per il cielo che diventa cupo: il suo volto si oscura. Era arrivato correndo, se ne va camminando. L'uomo che fioriva di domande se ne va muto. Il ribelle si è arreso, il cercatore si è spaventato: la vetta è troppo lontana, ci vuole troppo coraggio. E non capisce che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni (Luca 12,15) ma dai volti, che la sicurezza non è nel denaro, ma nelle mani del Pastore grande. E per tutta la vita resterà così, onesto e triste, osservante e cupo. Quanti cristiani sono come lui, onesti e infelici. Osservano tutti i comandamenti, tutti i giorni, come lui, e non hanno la gioia: lo fanno per ottenere qualcosa, per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo carcerario dove quasi tut­to è proibito e il resto è obbligatorio. Tutto sanzionato da premio o castigo. E il cuore è assente, una morale senza amori. Gesù propone all'uomo ricco la comunione, cento fratelli, ma egli preferisce la solitudine; propone un tesoro di persone, egli ne preferisce uno di cose. Propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di vita buona, bella e beata». Ma l'uomo segue il denaro. Tutto finito? No, a conclusione ecco un sus­sulto di speranza in una delle parole più bel­le di Gesù: tutto è possibile presso Dio. La passione di Dio è moltiplicare per cento quel poco che hai, quel nulla che sei e riempirti la vita di affetti e di luce: «ti darò un tesoro di volti, non possederai nulla eppure godrai del mondo intero, sarai povero e signore, come me». Seguirti, Signore, è stato il migliore affare della mia vita. (E. Ronchi)

 
Sabato, 06 Ottobre 2012 23:05

Tu salvezza al mio fianco

214Non è bene che l'uomo sia solo». Il male originale, il primo che appare sulla terra, anteriore a qualsiasi peccato, è la solitudine. Perché non c'è nessuno che basti a se stesso, nessuno che possa essere felice da solo. Niente fra le cose, neanche il paradiso basta. Per questo: «Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». "Aiuto" è parola bellissima che riempie i salmi, che deborda dalle profezie, gridata nel pericolo, invocata nel pianto, molto più di un supplemento di forza o di speranza, indica una salvezza possibile e vicina. Eva è per Adamo benedizione possibile e vicina, un "aiuto simile", che significa "una salvezza che gli cammina a fianco". In principio, prima della durezza del cuore, era così. Poi Gesù si addentra nella distanza tra il sogno di Dio e il cuore dell'uomo: per il vostro cuore duro Mosé scrisse la legge del ripudio. E ci porta con sé a respirare l'aria dell'inizio, ad assumere il punto di vista di Dio non quello giuridico. In principio c'è il sogno, bellissimo ed ingenuo, che l'amore è per sempre. E nonostante la facilità a tradire, nonostante le crisi e la fatica che tante coppie incontrano nel donarsi felicità, nonostante tutto, il matrimonio rimane sacramento di salvezza possibile e vicina, salvaguardia del sogno di Dio. Ogni uomo e ogni donna che camminano insieme dovrebbero regalarsi, reciprocamente, la parola e l'esultanza con cui Dio benedice Eva: tu sei per me salvezza al mio fianco.

All'inizio è detto che «I due saranno una carne sola». Ma alla fine, la parola ultima sull'uomo e sulla donna non sarà quella dei due che diventano uno, ma quella di «ognuno che diventa due» (Berdiaeff). L'amore ti porterà a vivere due vite, ad assumere la vita dell'altro come parte dolce e forte della tua storia. L'amore non è solo perdersi per l'altro, alla fine è anche pienezza, dilatarsi fino a «diventare due», a vivere come tuoi la vita, i sogni, i deserti, la creatività, la felicità del tuo uomo, della tua donna. «Ciò che Dio ha unito, l'uomo non separi». Gesù assicura che Dio ha la passione di unire, per sempre. Dio-unisce, questo è il suo nome. «E l'uomo lascerà sua madre e si unirà a sua moglie». Anche il nome di Adamo è, secondo la Scrittura, colui-che-si-unisce. Il nome del nemico invece è sempre colui-che-separa, il Divisore, il padre della solitudine. E prendendoli fra le braccia, li benediceva. Il Vangelo termina con l'abbraccio con cui Gesù stringe a sé i bambini, con cui colma la sua solitudine e il loro bisogno d'amore. Li prende fra le braccia ed è una benedizione; ed è, come ogni abbraccio, una piccola salvezza, vicina e quotidiana. (E. Ronchi)
Sabato, 29 Settembre 2012 14:04

Prima la persona

213«Non era dei nostri». Quell'uomo che pure cacciava demoni, uno straniero capace di miracoli, di vera lotta contro il male, viene bloccato e diffidato. Ed è Giovanni che parla, il prediletto, l'aquila, detto il «Figlio del tuono», ma qui ancora figlio di un piccolo cuore. Ai dodici non importa che un uomo sia liberato dalla morsa del demonio. Prima viene la difesa del gruppo, del movimento, del partito, l'istituzione viene prima della persona. E così impoveriscono il mondo: l'indemoniato può attendere. «Non ti è lecito guarire di sabato!» avevano intimato gli scribi a Gesù. «Niente miracoli di sabato! La legge vale più della salvezza. La felicità può attendere». Non importa se un malato ritrova il sorriso, il sole, il vigore, il canto. Per loro conta di più la regola astratta. La vita può attendere. E così impoverivano Dio. Gesù risponde con una delle sue rivelazioni capaci di cambiare il corso della storia: la persona viene prima della legge, prima anche della verità. Chiunque fa del bene, chiunque dà un sorso d'acqua, un sorso di miracolo, è dei nostri. Si può camminare sulla strada di Cristo, anche senza essere dei Dodici. Si può essere uomini di Dio anche senza essere uomini della Chiesa, perché il Regno è più grande della Chiesa. E mentre tutti, partiti, chiese, famiglie, classi sociali, etnie, nazioni, ripetono: non sono dei nostri, il progetto di Gesù Cristo, l'uomo senza frontiere, si riassume in una parola sola: comunione con tutto ciò che vive. Gli uomini sono tutti dei nostri, e noi siamo di tutti. Quanti sono di Cristo e forse neppure lo sanno. Lottano contro i demoni di oggi, ingiustizia violenza volgarità; sono capaci dei miracoli dell'amore, dare vita e libertà e futuro a uno solo, alla propria famiglia, a cento fratelli. Fuori dall'accampamento, eppure profeti. «Fossero tutti profeti», esclama Mosé. E profezia è lasciarsi colpire dal grido dei mietitori defraudati (Giudici 5,4); imparare a sentire la sinfonia del pianto di un bambino; ascoltare il mondo e ridargli parola, perché tutto ciò che riguarda l'avventura umana riguarda me. Perché tutti sono dei nostri e noi siamo di tutti. «Se il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede ti sono di scandalo, tagliali...». Linguaggio estremo che ci ricorda la serietà della posta in gioco: è davvero possibile fallire la vita. Richiama ciascuno alla propria responsabilità: il «tuo occhio, la tua mano», «tu sei il tuo proprio rischio»; la colpa non è sempre degli altri, della società o della famiglia. Solo per le anime deboli la colpa è sempre altrove. La soluzione del male non è la mano tagliata, ma la mano convertita, mano di profeta dove Gesù pone un bicchiere d'acqua fresca anche per chi non era neppure dei nostri.

 
Lunedì, 24 Settembre 2012 06:22

La misura del Regno

212"Per via avevano discusso chi fosse il più grande". Chi è il più bravo, il più capace, il migliore tra noi? È l'istinto primordiale del potere che si dirama dovunque, nella famiglia, nel gruppo, nella parrocchia, sul posto di lavoro, tra i ricchi e tra i poveri alle porte della chiesa, tra i potenti e tra gli schiavi. A questo protagonismo che è il principio di distruzione di ogni comunità, Gesù contrappone il suo mondo nuovo. «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo, il servo di tutti». Il più grande è chi non si serve dell'altro, ma lo serve; chi non prende vite d'altri per i suoi scopi, ma suo scopo è la vita di qualcuno; chi saluta anche quelli che non lo salutano. Che il servizio sia la realizzazione più alta del vivere poteva essere vero per Gesù. Ma per noi? Servire: verbo dolce e pauroso insieme, che evoca sforzo e sacrificio, croce e sofferenza. La nostra gioia è comandare, ottenere, possedere, essere i migliori. Non certo essere i servi. E poi, servo "di tutti", senza limiti di gruppo, di etnìa, senza esclusioni, senza preferire i miei amici ai lontani, i poveri buoni ai poveri cattivi. La novità di Cristo: parole mai pensate, mai dette, liberate ora per raggiungere i confini del mondo intero. Sono quelle frasi abissali: o ti conquistano o le cancelli per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vita.

«Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciava dicendo: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me». Accogliere un bambino significa entrare nel suo mondo, grande appena quanto lo spazio dove arriva il grido con cui chiama la madre; il bambino che non basta a se stesso e vive solo se è amato; che riceve tutto e può dare così poco; improduttivo eppure tranquillo davanti al futuro, sicuro non di sè, ma dei suoi genitori; forte non della propria forza, ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre. La sua debolezza è la sua forza. «Se non diventerete come bambini», se non ritroverete lo stupore di essere figli, figli piccolini che sanno piangere che imparano a ridere, figli la cui forza è il Padre, non entrerete nel Regno.

«Chi accoglie un bambino, accoglie me, accoglie il Padre». Mi commuove l'ottimismo di Dio: il bambino è sua immagine; non tanto l'uomo, ma proprio il bambino. L'eterno si abbrevia nel frammento, anche lui vive solo se è amato. L'immagine ultima del vangelo di oggi è Gesù abbracciato ad un bambino. In tutta la sua vita si è "affannato" ad annunciare che Dio è solamente buono, padre che scorge il figlio da lontano e gli si butta al collo, pastore in cerca della pecora perduta, che trova e se la pone sulle spalle. E che a noi non resta che farci prendere in braccio. (E. Ronchi)
Mercoledì, 19 Settembre 2012 10:25

Voi chi dite che io sia?

211La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e roccia, di fuoco e luce, come Elia, come il Battista; dicono che sei voce di Dio e suo respiro. Gesù non si sofferma oltre su ciò che dice la gente. Lui sa che la verità non risiede nei sondaggi d’opinione. E pone la grande domanda, quella che fa vivere la fede: E voi, chi dite che io sia? Una domanda da custodire e amare, perché il Signore ci educa alla fede attraverso domande: tu, con il tuo cuore, la tua storia, il tuo peccato e la tua gioia, tu, cosa dici di Gesù? Ora non servono più libri o formule di catechismo; ognuno uscito dalle mani di Dio, ognuno caduto e risorto, affamato e incamminato deve dare la sua risposta. La Bibbia è piena di nomi di Dio pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza : a Dio si addicono tutti i nomi. Un salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4); un altro «sole e scudo» (5,13), ma è ancora «ciò che la gente dice», anche se con parole sante. C’è un ultimo nome, il nome che gli dà il mio patire e il mio gioire, che contiene il mio sapore di Dio, che viene dall’averlo molto cercato, qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dellanima: tu sei il Cristo. Non una persona di ieri, come Elia o il Battista, non un ricordo, niente sei tra le cose passate.

Ma Cristo cos’è «per me»? Per me vivere è Cristo, ha detto Paolo; per me, adesso, Cristo significa vivere. Già solo nominarlo equivale a confortare e intensificare la vita, più Cristo equivale a più io. E cominciò a insegnare loro che il figlio dell’uomo doveva molto soffrire. Pietro si ribella, come mi ribello an­ch’io. Un Dio di molto patire non è ciò che mi attendevo. Posso seguire le indicazioni spirituali di Gesù, le sue regole morali mi convincono, mi seduce un Gesù guaritore e camminatore, accogliente e amicale, libero come nessuno, posso avere gli stessi suoi sentimenti. Ma la croce! La croce è l’impensabile di Dio, il mezzo più scandalosamente povero, ma è anche l’abisso dove Dio diviene l’amante, amore fino alla fine, senza inganno alcuno, Dio affidabile.

Solo allora i discepoli capiranno chi è Gesù: disarmato amore, crocifisso amore, e per questo vincente. Se qualcuno vuol venire dietro di me, prenda su di sé una vita che sia simile alla mia, che sia croce e dono, non per patire di più, ma per far fiorire di più la zolla di terra del cuore, e poi essere nella vita datore di vita. Come Lui. (E. Ronchi)
Giovedì, 13 Settembre 2012 22:39

Imparare l’ascolto

210Il racconto della guarigione del sordomuto non è il semplice resoconto di un miracolo, bensì un segno che contiene quello che il Signore Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo, che ha un nodo in cuore, un nodo in gola; quello che vorrebbe realizzare con questa mia umanità infantile e immatura che non sa ascoltare e non sa dialogare. Che io sia uomo di ascolto, innanzitutto: «sordo» infatti ha la stessa radice di «assurdo». Entra nell’assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri, e lascia andare a vuoto tutte le parole. Esce dall’assurdo chi impara ad ascoltare. «E gli condussero un sordo­muto». Un uomo prigioniero del silenzio, una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, un non-uomo. Gesù lo porta in disparte, per un dialogo fatto esclusivamente di sguardi: Io e te soli, dice Gesù all’uomo che non è ancora uomo. E sei così importante che ora le mie dita ti lavorano di nuovo, come un Creatore che plasmi da capo l’argilla di Adamo. Gesù inizia a comunicare così, senza parole, con il solo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l’uomo comincia a guarire. Il mio volto fra le sue mani! E poi quel sospiro. Geme il Signore il suo dolore per il dolore del mondo, geme per tante vite che non ce la fanno a sfuggire all?ombra dell’assurdo, geme e fanno piaga in lui tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate... E infine ecco la parola che salva: «Effatà», «Apriti», arrivata così fino a noi, nella lingua di Gesù, viva ancora nel rito del Battesimo. Apriti, come si apre una porta all’ospite, una finestra al sole. Apriti come si apre uno scrigno prezioso o una prigione del cuore. Apriti come quando cede un argine o una diga o si spalanca la pietra del sepolcro e la vita dilaga. Non vivere chiuso, apriti alla Parola, al gemito e al giubilo del creato. «E comandò loro di non dirlo a nessuno». Gesù aiuta senza condizioni. Per lui è più importante la gioia del sordomuto, che non la sua gratitudine; la sua felicità conta di più, e di lui infatti non sapremo più nulla, scomparso nel gorgo della vita ritrovata. Il Vangelo di Marco riferirà ancora solo due altri miracoli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima è l’ascolto poi viene la luce. Solo se hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capirai la verità di ciò che vedi, il senso di ciò che accade. (E. Ronchi).
 
Sabato, 01 Settembre 2012 13:07

Il tempio del cuore

209«Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me»: il cuore lontano, il cuore assente, il cuore altrove. È il lamento di Dio. Tanto più che, nella prima lettura, aveva lanciato la sua sfida: «Quale nazione ha un Dio così vicino a sé, come il Signore è vicino a noi?» Un Dio vicino, un cuore lontano. Ecco il dramma della storia sacra. Mentre il Padre si fa vicino, il figlio si allontana da casa. Il rischio del cuore lontano è quello della falsa religione: emozionarsi per le folle oceaniche ai raduni religiosi, e non saper pregare; amare la liturgia con la sua musica, i fiori, l'incenso, i marmi antichi e non «soccorrere il dolore di orfani e vedove»; volere segni esterni e citazioni verbali del cristianesimo e non viverlo. La polemica di Gesù è costruita su di una coppia di contrari, fuori e dentro: «Non c'è nulla fuori dell'uomo che entrando dentro possa contaminarlo». Gesù benedice di nuovo le cose. Ogni cosa è pura fin da principio, il cielo, la terra, l'acqua, ogni erba e ogni cosa che nutre. Il creato è benedetto, il suo senso profondo è la santità. Non c'è luogo o angolo di cui si possa dire: il male è qui, questo è il suo nascondiglio, qui allignano le sue radici. Non creatura che possa dirsi malvagia. Unico spazio del male è il cuore dell'uomo: «Dal di dentro, dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive». Per Gesù la vera religione inizia con l'analisi del cuore. Per 900 volte nella Bibbia ricorre questo termine. Non semplice simbolo dei sentimenti e dell'affettività, ma luogo dove si distingue e si ama la verità, dove nascono le azioni, dove si sceglie la vita o la morte, dove Dio seduce. È il tempio del silenzio (Pèguy), luogo di continue nascite, luogo del ritorno, dove lo Spirito riporta e riaccende le parole di Gesù. Tutta la vita è un pellegrinaggio verso il luogo del cuore (Clèment). La donna del cuore è santa Maria che custodisce, conserva e medita, nel cuore - sottolinea Luca per due volte - le parole, gli eventi e i silenzi di Dio. È necessario molto cuore per ascoltare i silenzi di Dio. L'altro nome della verginità è molto cuore. Ma dentro l'uomo c'è di tutto, radici di veleno e frutti di luce, campi seminati di buon grano ed erbe malate, oceani che minacciano la vita e che la generano. Che cosa, io, ne farò uscire fuori? Nell'arte di coltivare se stessi e il cuore, l'istintività va' conosciuta e incanalata. Se fai uscire da te segnali di morte non sei «spontaneo e autentico» come ti illude una falsa psicologia, ma avveleni le tue relazioni. Non far uscire «prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigia, inganno, invidia, calunnia, superbia, stupidità». Non dare loro libertà, non permettere loro di abitare la terra. Manda solo segnali di vita attorno a te, e non avrai più «il cuore lontano». (E. Ronchi)

 
Sabato, 25 Agosto 2012 23:12

Parole per vivere

208«Forse volete andarvene anche voi?». Affiora tristezza nelle parole di Gesù, la consapevolezza di una crisi tra i suoi. Ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà di ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma scegliete! Gesù non dice quello che devi fare, quello che devi essere, ma ti pone le domande che guariscono dentro: che cosa accade nel tuo cuore? cosa vive in te? Che cosa vuoi per davvero? Pietro a nome nostro risponde: «Tu solo hai parole di vita eterna». Tu solo. Ed esclude un mondo intero di illusioni, di seduzioni. Nessun altro c’è al centro della speranza, a fondamento del cuore. Tu sei stato l?affare migliore della mia vita. Hai parole: non solo le pronunci, ma le hai, sono tue, sei tu la loro sorgente. Ed è una cosa povera e splendida la parola: solo una vibrazione nel vento, un soffio leggero, ma che sa spalancare la pietra del sepolcro, che apre strade e nuvole e incontri, porta carezze e incendi, che dall’inizio crea. «Tu solo hai parole di vita». Parole che fanno viva finalmente la vita. Intuisco che qui è la perla, il tesoro: Cristo è un incremento di u­mano in noi, intensificazione di vita. L’uomo non vive di solo pane, ma di ciò che viene dalla bocca di Dio. Vengono Parole che danno vita al cuore, che allargano, dilatano, purificano il cuore, ne sciolgono la durezza. Che danno vita alla mente, perché la mente vive di verità altrimenti si ammala, vive di libertà altrimenti appassisce, sincere e libere come nessuno. Parole che danno vita allo spirito, a questa anima assetata. Dio è spirito ed è Lui che viene quando viene la sua Parola. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. La Parola che crea universi, che disegna mondi, che semina futuri, la Parola di Dio opera in voi che credete. Orienta, illumina, traccia strade, chiama, seduce, semina, abbatte le chiusure. E sono parole di vita eterna: Cristo dona eternità a tutto ciò che di più bello l?uomo porta nel cuore. Da chi mai potremmo andare? Pietro poteva tornare alla sua barca. Betsaida è lì accanto, ma quello era appena sopravvivere, non era vivere davvero e per sempre, non c’è barca che valga o trasporti l’eternità del cuore. «Tu solo hai parole che fanno viva la vita!» Dichiarazione di amore geloso ed esclusivo come un seme di fuoco, geloso ed esultante come un seme di eternità. (E. Ronchi)
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