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Sabato, 21 Settembre 2013 00:43

Una rete di amici

editoriale 21-09-13La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sorprendente: l'uomo ricco loda il suo truffatore. Sorpreso a rubare, l'amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell'amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti. Con questa scelta, inconsapevolmente, egli compie un gesto profe­tico, fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l'accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia. Il personaggio più interessante della parabola, su cui fermare l'attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padrone lodò quell'amministra­tore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull'amicizia. Qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo e gioioso, elevata a progetto di vita, fatta misura dell'eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro. Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l'abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita. Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Affermazione netta: il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell'amore e nella amicizia. Sono ottimi servitori ma pessimi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell'umano, mangiano il cuore. Cominci a pensare al denaro, giorno e notte, e questo ti chiude progressivamente in una prigione. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione. La parabola inverte il paradigma economico su cui si basa la società contem­poranea: è il mercato che detta legge, l'obiettivo è una crescita infinita, più denaro è bene, meno denaro è male. Se invece legge comune fossero la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l'accumulo ma l'amicizia, crescerebbe la vita buona. Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che apra cioè fessure per il nascere di un mondo nuovo.
notizia 19-09-13Durante l’udienza che il Santo P. Francesco ha tenuto lunedì 16 settembre nella Basilica di San Giovanni in Laterano per i sacerdoti in servizio pastorale della Diocesi di Roma, a rappresentare il clero del Centro storico  P. Davide Carbonaro Parroco di Santa Maria in Campitelli. Durante il suo intervento ha presentato al Papa: “La porzione di Chiesa che cammina con il Signore risorto nel centro della Città.  Al di là della metafora geografica, ha proseguito P. Davide: “Anche il centro storico ha la sua periferia fatta di chi vive disagi e povertà  materiali e spirituali.  Tra le maglie di una rete fittissima di istituzioni  religiose e pubbliche c’è una Comunità di uomini e donne  che risponde oggi alle esigenze del Vangelo, che attinge alla particolare vocazione di Roma chiamata a servire la comunione fra le Chiese. Alle volte un “piccolo resto”  che prega e testimonia la carità, che evangelizza ed accoglie”. Infine, ha rivolto al Santo Padre alcune domande: “Come possiamo tutti, pastori consacrati e laici: ‘Servire con franchezza la Chiesa e non servirci di essa’? Come trasformare e reinventare aprendo con coraggio e con intelligenza evangelica luoghi, istituzioni che hanno avuto un glorioso passato e che oggi vanno spegnendosi se non animate da coraggiosa creatività? Come rendere fruibile la memoria spirituale  e la ricchezza delle devozioni popolari di cui è intriso il nostro territorio soprattutto per le giovani generazioni e non solo, per le quali spesso la ‘memoria’ è solo la Ram del Computer? Come guardare e parlare al cuore (Cf Is 40,2) della nostra città senza vergognarsi o nascondersi dietro le sue ferite e i suoi ritardi? Come trasformare la pendolarità  tra periferia e centro in pellegrinaggio della fede?”.  Papa Francesco ha poi risposto alle richieste di P. Carbonaro e di altri quattro rappresentanti del clero romano affrontando alcune questioni centrali della vita della Chiesa. Ha subito invitato i preti ad “essere coraggiosi, ad avere una giusta creatività, che non significa fare qualcosa di nuovo per forza, per arrivare alla necessaria conversione pastorale”. Le parrocchie, ha raccomandato: “devono essere sempre aperte e accoglienti, magari con il confessore  a disposizione. Anche i laici che si occupano dell’amministrazione devono mostrare alla gente il volto accogliente della Chiesa”. Si tratta in buona sostanza: “di trovare sempre nuove strade perché il Vangelo sia annunziato e testimoniato nella realtà della vita quotidiana”. Così, ha proseguito il Papa: “E’ importante cercare nuove vie, adatte e adeguate alle persone a cui ci si rivolge, facilitando per esempio, la partecipazione ai corsi pre-battesimali e coinvolgendo i laici in missioni di quartiere”. In una grande città come Roma, ha riconosciuto il Pontefice: “l’accoglienza cordiale non è sempre facile da organizzare”. Ma le persone, ha rimarcato con forza: “non devono avere mai l’impressione di trovarsi  di fronte a burocrati e funzionari con interessi economici e spirituali”.  Infine il Santo Padre ha invitato a rinnovare  “il primo amore verso Gesù” ed avere un “cuore memorioso” (Cf. Osservatore Romano).

19 settembre 2013
Mercoledì, 18 Settembre 2013 09:24

Senti che storia...Campo estivo giovani OMD

notizia 18-09-13“C’era una volta… e vissero per sempre felici e contenti”. Ognuno di noi ha trascorso parte della propria infanzia leggendo o ascoltando fiabe che iniziavano e finivano con queste due frasi magiche. I bambini di ogni nazione vengono istruiti e sensibilizzati ai valori fondamentali della loro società tramite questi racconti di eroi e principi, di buoni e cattivi in cui vincono l’amore, l’intelligenza, l’amicizia e la verità. Spesso però accade che, crescendo e incontrando persone diverse, queste “istruzioni di vita” vengano dimenticate, ed occorre magari rinfrescare la memoria anche di giovani adulti e non solo di bambini.

Questa è stata la linea guida che ha dato vita al Campo estivo parrocchiale dal 22 al 25 Agosto per i giovani dai 13 ai 17 anni, provenienti da San Ferdinando e da Torre Maura. Ogni giorni si iniziava con una scenetta interpretata dagli animatori, alla scoperta di quattro storie con quattro temi.

Il primo giorno è toccato alla storia della Bella e la Bestia che riportava alla luce l’importanza dell’incontro tra persone spesso diverse ma che possono arricchire l’uno la vita dell’altro.

Successivamente, tramite la storia del Mago di Oz, si è cercato di capire se effettivamente ognuno di noi ha consapevolezza dei suoi talenti, spesso nascosti dietro apparenti sconfitte con chi sembra più capace di noi.

Durante il terzo giorno, con l’aiuto di Alice e del suo viaggio nel Paese delle Meraviglie ci si è posti una delle domande più ostili: dov’è la verità? Spesso confusi da un mondo che ci promette potere e magici cambiamenti, la verità è nascosta ai nostri occhi o addirittura impossibile da raggiungere.

L’ultimo giorno invece il tema principale è stato la condivisione, con la fiaba del Povero e del principe, in cui l’uno volendo essere l’altro, scopre e capisce la realtà e le fatiche di ricoprire un certo ruolo.

Incontro, consapevolezza, verità e condivisione però non sono solo concetti che riguardano la vita dell’uomo in sé, ma anche il suo rapporto con Dio. Ecco come i significati di 4 storie vengono arricchiti tramite la necessità di avere un incontro con Dio, che non è lontano da noi anzi, si rende uomo e ci dona la possibilità di conoscerlo, di essere consapevoli della sua salvezza e della sua parola con gli occhi del cuore, della fede e della mente. Inoltre Dio si offre come guida : “io sono la via, la verità e la vita”, allontanando ogni vana ricerca di felicità false e volubili, dandoci quella certezza di cui tutti siamo affamati. Infine trattandosi di un campo estivo per ragazzi, cosa c’è di meglio che condividere questa ricchezza con altri? Ecco la condivisione, punto centrale di tutte le comunità cristiane in cui ci si riconosce legati fortemente l’uno all’altro dall’essere tutti figli di Dio, abbattendo qualunque diversità.

Quattro giorni intensi di attività, preghiera, giochi e canti, di amicizie nuove o ancor più consolidate, un buon modo per chiudere le vacanze estive e riprendere con le faccende di studio e lavoro, ma soprattutto l’occasione per ognuno di avere qualcosa in più con cui arricchire la nostra storia personale! (Gabriella Piazzolla

18 sttembre 2013
Sabato, 14 Settembre 2013 08:44

La scuola della croce cattedra di santità

notizia 14-09-13La festività dell’Esaltazione della croce ci permette di sostare su uno dei temi della spiritualità leonardina ne proponiamo un frammento. La scuola della Croce è sempre stata la cattedra dei Santi: «Tutti li santi che al cielo sono andati, hanno innalzato la Croce nel loro cuore» (San Giovanni Leonardi, Sermone per l’esaltazione della croce). La scuola della croce mette a nudo l’inconsistenza  delle nostre pretese, la fatuità dei nostri sogni di grandezza nella ricerca di una protezione dell’io identificata come fonte di successo. Il santo proprio alla scuola della croce, comprende la lezione evangelica del chicco di grano che caduto a terra muore e porta frutto; del «chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Cfr Lc 17,33). E’ una sapienza nuova quella che sgorga dalla contemplazione della croce: sapientia crucis che genera un modo di rapportarsi con se stessi e con gli altri, in cui la misura di tutto è data da un Altro: “e con Lui  misurate le cose”. Il metro di giudizio e di azione non può più essere la propria sapienza o intelligenza, ma quella nuova che si apprende alla schola crucis, come gesto estremo dell’amore di Dio. Perché con questo Gesù sta descrivendo il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla risurrezione.

14 settembre 2013
Sabato, 14 Settembre 2013 00:27

L’amore vince perdendo

editoriale14-09-13Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente a mettere Dio in cammino. Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio differente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma anche dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi. Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Padre non si oppone, non è mai contro la libertà. Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore ma­lato di cose grandi e le piccole non saziano. Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ritorna, se per fame o per amore, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «vede quando è ancora lontano».Padre, non sono degno, trattami da servo. E lui lo interrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non emana verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato dell'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla. Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito? Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno prodigo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.
Domenica, 08 Settembre 2013 23:28

Papa Francesco: Percorriamo le vie della pace.

notizia 08-09-13cNon più la guerra, non più la guerra!": è il grido lanciato da Papa Francesco dinanzi a circa centomila persone, credenti e non credenti, giunte in Piazza San Pietro per partecipare alla Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e nel mondo intero. "La guerra - ha detto il Papa - non è mai la via della pace", mentre l'idolo del potere trasforma gli uomini in nuovi Caino che rendono sempre più sottili le ragioni per giustificare la loro violenza.

Il mondo che vogliamo è “un mondo di armonia e di pace” – come Dio lo ha creato – eppure ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Papa Francesco parte dal racconto biblico della creazione, opera stupenda di Dio, ferita quando l’uomo “lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà” e “si chiude nel proprio egoismo”: “Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto”. Quando l’uomo “rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo”, diventa come Caino – afferma il Papa – e “il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere”: “In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello”. Dall’età della pietra al terzo millennio è in fondo un atteggiamento che non è cambiato: “Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!”. Ma “dopo il caos del Diluvio – ha sottolineato il Pontefice - ha smesso di piovere: si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo”: “Penso anche oggi a quell’ulivo che rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Piazza de Mayo nel 2000, chiedendo che non sia più caos, chiedendo che non sia più guerra, chiedendo pace”. Il Papa si domanda: “E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace?”: “Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!”. La fede cristiana spinge a guardare alla Croce. “Come vorrei – afferma Papa Francesco - che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio”: “Lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace!”. Di qui l’esortazione “a guardare nel profondo della propria coscienza” per ascoltare quella parola che dice “esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione”: “Guarda al dolore del tuo fratello - ma penso ai bambini, soltanto a quelli - guarda al dolore del tuo fratello e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: 'Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!' (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965)”. “La pace si afferma solo con la pace – ribadisce il Papa – quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità” (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976). E conclude: “Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.

8 settembre 2013
notizia 08-09-13bHanno celebrato le nozze a Gallipoli giovedì 5 settembre nella Chiesa del Sacro Cuore: Davide Tuccio e Giovanna Caputo. Il Dott. Tuccio è Direttore responsabile del Notiziario OMD. Il rito è stato presieduto dal Parroco P. Ignazio Miccolis. Ai novelli sposi gli auguri della famiglia leonardina.

8 settembre 2013

Domenica, 08 Settembre 2013 23:21

Il nuovo Rettore del Collegio di Propaganda Fide

notizia 08-09-13aMons. Vincenzo Viva (42 anni), sacerdote del clero di Nardò-Gallipoli, è stato nominato  Rettore del Pontificio Collegio Urbano "de Propaganda Fide" in Roma. La nomina, effettiva dal 1° agosto 2013, è giunta dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, il dicastero della Santa Sede che dirige e coordina l'opera di evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, da cui dipende anche integralmente il Collegio fondato da Urbano VIII il 1° agosto 1627. L'annuncio della nomina è stato dato dall'Amministratore diocesano, Mons. Luigi Ruperto. Don Vincenzo Viva succede nell'incarico al comboniano P. Fernando Domingues (53 anni), nominato recentemente Segretario Generale della Pontificia Opera San Pietro Apostolo. Il nuovo Rettore ha voluto rendere omaggio, accompagnato dai vice rettori e da quaranta nuovi alunni, alle reliquie di San Giovanni Leonardi domenica 1 settembre. Al termine della celebrazione eucaristica gli studenti insieme al Rettore hanno vuluto affidare al santo cofondatore di Propaganda Fide il nuovo anno accademico.  

Il Collegio Urbano "de Propaganda fide" in Roma accoglie attualmente 160 seminaristi da 27 nazioni diverse, scelti e inviati dai rispettivi vescovi delle giovani chiese di quattro continenti (Africa, Asia, Oceania, America Latina) per essere formati al sacerdozio e svolgere nei loro paesi un qualificato servizio di evangelizzazione. Un'équipe di cinque vice-rettori e quattro padri spirituali collabora con il rettore nel compito formativo che si caratterizza per un accentuato spirito missionario, universale e interecclesiale, ma anche per la sua vicinanza alla tomba dell'apostolo Pietro e lo speciale vincolo con la Cattedra del suo successore, il Santo Padre a poche decine di metri dal Collegio. Il gruppo attualmente più numeroso è quello degli indiani, seguito dai cinesi e dai vietnamiti, numerosi anche i seminaristi provenienti da diversi stati africani. Nella plurisecolare storia del Collegio si ricordano in particolare il co-fondatore san Giovanni Leonardi, il direttore spirituale del Collegio san Vincenzo Pallotti e il Beato John Henry Newman, alunno tra il 1846-1847. Tutti i seminaristi frequentano gli studi alla Pontificia Università Urbaniana, che sorge sulla stesso colle romano del Gianicolo e conta nelle sue diverse Facoltà e istituti circa 1.400 studenti.

8 settembre 2013

Domenica, 08 Settembre 2013 12:10

Amare di più

editoriale 08-09-13Gesù, vedendo la folla numerosa che lo segue, si volta per metterla in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui. Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece adesioni meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità. E indica tre condizioni per seguirlo. Radicali. Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Parole che sembrano dure, eccessive, le diresti la crocifissione del cuore, con i suoi affetti, e invece ne sono la risurrezione. Infatti il verbo centrale su cui poggia tutta l'architettura della frase è: se uno non mi ama di più... Non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non ruba amori, aggiunge un 'di più'. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un po­tenziamento. Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è il sigillo, la garanzia che se stai con Lui, se lo tieni con te, i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della ma­lattia da sopportare. Ma nel Vangelo la parola 'croce' contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore che non si arrende, non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine. Gesù possiede la chiave dell'andare fino in fondo alle ragioni dell'amore. Allora le due prime condizioni: Amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. La terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è innanzitutto un sacrificio ascetico, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: «io ho, accumulo, e quindi sono e valgo». Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti (M.L. King). Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare di più. Allora nominare Cristo e il Vangelo equivarrà a confortare la vita.
Sabato, 07 Settembre 2013 23:36

1 Settembre OMD lettera del P. Generale

notizia 01-09-13Sono trascorsi 439 anni da quando il 1 settembre 1574 San Giovanni Leonardi fondò l’Ordine della Madre di Dio nella chiesa lucchese della Rosa. Affidò a Maria Regina degli Angeli i primi compagni con la promessa della sua protezione e compagnia amica in ogni luogo l’Ordine fosse presente. Per tale occasione Il P. Generale P. Francesco Petrillo ha inviato ai religiosi OMD una lettera ricordando questo evento “nell’anno di grazia” dedicato alle Costituzioni e Regole le quali “indicano la via di fedeltà al Carisma di san Giovanni Leonardi”. Avvenimento che l’Ordine vive come “cammino spirituale e pastorale”.  Ai piedi della Vergine Maria il 1 settembre l’Ordine riconosce la sua identità, afferma il P. Generale da: “Da vivere con gioia e da manifestare visibilmente nell’ardore evangelizzatore, nell’amore per la salvezza delle anime, nello slancio pastorale”. Tale anelito che distinse la vita del fondatore ci spinge a pensarci, augura e conclude il P. Generale: “come evangelizzatori del mondo e come animatori di una famiglia carismatica”.

1 settembre 2013


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