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Visualizza articoli per tag: luce sul mistero

Sabato, 11 Gennaio 2014 08:39

Lo Spirito e l’acqua

276Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli, e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui. Lo Spirito e l'acqua sono le più antiche presenze della Bibbia, entrano in scena già dal secondo versetto della Genesi: la terra era informe e deserta, ma «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque».Il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza dello Spirito sulle acque. Come una colomba che cerca il suo nido, che cova la vita che sta per nascere. Da allora sempre lo Spirito e l'acqua sono legati al sorgere della vita. Per questo sono presenti nel Battesimo di Gesù e nel nostro Battesimo: come vita sorgente. Di quale vita si tratta? Lo spiega la Voce dal cielo: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. «Figlio» è la prima parola. Ogni figlio vive della vita del padre, non ha in se stesso la propria sorgente, viene da un altro. Quella stessa voce è scesa sul nostro Battesimo e ci ha dichiarati figli, i quali non da carne né da volere d'uomo ma da Dio sono stati generati ( Gv 1,13). Battesimo significa immersione: siamo stati immersi dentro la Sorgente, ma non come due cose separate ed in fondo estranee, come il vestito e il corpo, ma per di­ventare un'unica cosa, come l'acqua e la Sorgente, come il tralcio e la Vite: la nostra carne in Dio in risposta a Dio nella nostra carne, il farsi uomo di Dio che genera 'l'indiarsi' (Dante) dell'uomo. Il nostro abitare in Dio dopo che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), il mio Natale dopo il suo Natale. Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno appena ti svegli, il tuo nome per Dio è «amato». Immeritato amore, che precede ogni risposta, lucente pregiudizio di Dio su ogni creatura. Mio compiacimento è la terza parola. Termine raro e prezioso che significa: tu - figlio - mi piaci. C'è dentro una gioia, un'esultanza, una soddisfazione, c'è un Dio che trova piacere a stare con me e mi dice: tu, gioia mia! E mi domando quale gioia posso regalare al Padre, io che l'ho ascoltato e non mi sono mosso, che non l'ho mai raggiunto e già perduto, e qualche volta l'ho perfino tradito. Solo un amore immotivato spiega queste parole. Amore puro: avere un motivo per amare non è amore vero. E un giorno quando arriverò davanti a Dio ed Egli mi guarderà, so che vedrà un pover'uomo, nient'altro che una canna incrinata, il fumo di uno stoppino smorto. Eppure so che ripeterà proprio a me quelle tre parole: Figlio mio, amore mio, gioia mia. Entra nell'abbraccio di tuo padre!
 
Sabato, 04 Gennaio 2014 15:58

Guardando oltre

275Magi voi siete i santi più nostri, naufraghi sempre in questo infinito, eppure sempre a tentare, a chiedere, a fissare gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore (Turoldo). Messaggi di speranza oggi: c'è un Dio dei lontani, dei cammini, dei cieli aperti, delle dune infinite, e tutti hanno la loro strada. C'è un Dio che ti fa respirare, che sta in una casa e non nel tempio, in Betlemme la piccola, non in Gerusalemme la grande. E gli Erodi possono opporsi alla verità, rallentarne la diffu­sione, ma mai bloccarla, essa vincerà comunque. Anche se è debole come un bambino. Proviamo a percorrere il cammino dei Magi come se fosse una cronaca dell'anima. Il primo passo è in Isaia: «Alza il capo e guarda». Saper uscire dagli schemi, saper correre dietro a un sogno, a una intuizione del cuore, guardando oltre. Il secondo passo: camminare. Per incontrare il Signore occorre viaggiare, con l'intelligenza e con il cuore. Occorre cercare, di libro in libro, ma soprattutto di persona in persona. Allora siamo vivi. Il terzo passo: cercare insieme. I Magi (non «tre» ma «alcuni» secondo il Vangelo) sono un piccolo gruppo che guarda nella stessa direzione, fissano il cielo e gli occhi delle creature, attenti alle stelle e attenti l'uno all'altro. Il quarto passo: non temere gli errori. Il cammino dei Magi è pieno di sbagli: arrivano nella città sbagliata; parlano del bambino con l'uccisore di bambini; perdono la stella, cercano un re e trovano un bimbo, non in trono ma fra le braccia della madre. Eppure non si arrendono ai loro sbagli, hanno l'infinita pazienza di ricominciare, finché al vedere la stella provarono una grandissima gioia. Dio seduce sempre perché parla la lingua della gioia. Entrati in casa videro il Bambino e sua Madre... Non solo Dio è come noi, non solo è con noi, ma è piccolo fra noi. Informatevi con cura del Bambino e fatemelo sapere perché venga anch'io ad adorarlo. Quel re, quell'Erode, uccisore di sogni ancora in fasce, è dentro di noi: è il cinismo, il disprezzo che distrugge i sogni del cuore. Ma io vorrei riscattare le sue parole e ripeterle all'amico, al teologo, al poeta, allo scienziato, al lavoratore, a ciascuno: hai trovato il Bam­bino? Cerca ancora, accuratamente, nei libri, nell'arte, nella storia, nel cuore delle cose; cerca nel Vangelo, nella stella e nella parola, cerca nelle persone, e in fondo alla speranza; cerca con cura, fissando gli abissi del cielo e del cuore, e poi fammelo sapere perché venga anch'io ad adorarlo. Aiutami a trovarlo e verrò, con i miei piccoli doni e con tutta la fierezza dell'amore, a far proteggere i miei sogni da tutti gli Erodi della storia e del cuore.
 
Martedì, 31 Dicembre 2013 07:34

Egli è la pace

274La prima lettura biblica del nuovo anno fa scendere su di noi una benedizione colma di luce, in cui prendere respiro per l'avvio del nuovo anno: il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli. Voi benedirete: per prima cosa, che lo meritino o no, voi li benedirete. Dio ci raggiunge non proclamando dogmi o impartendo divieti, ma benedicendo. La sua benedizione è una energia, una forza, una fecondità di vita che scende su di noi, ci avvolge, ci pene­tra, ci alimenta. Dio chiede anche a noi, figli di Aronne nella fede, di benedire uomini e storie, il blu del cielo e il giro degli anni, il cuore dell'uomo e il volto di Dio. Mio e tuo compito per l'anno che viene: benedire i fratelli! Se non impara a benedire, l'uomo non potrà mai essere felice. E come si fa a benedire? Dio stesso ordina le parole: Il Signore faccia risplendere per te il suo volto. Che cosa è un volto che risplende? Forse poca cosa, eppure è l'essenziale. Perché il volto è la finestra del cuore, racconta cosa ti abita. Brilli il volto di Dio, scopri nell'anno che viene un Dio luminoso, un Dio solare, ricco non di troni, di leggi, di dichiarazioni ma il cui più vero tabernacolo è la luminosità di un volto. Un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce. La benedizione di Dio non è salute, denaro, fortuna, prestigio, lunga vita ma, molto semplicemente, è la luce. La luce è tante cose, lo capiamo guardando le persone che hanno luce, e che emanano bontà, generosità, bellezza, pace. Dio ci benedice ponendoci accanto persone dal volto e dal cuore luminosi. Continua la bibbia: Il Signore ti faccia grazia. Cosa ci riserverà l'anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: Il Signore mi farà grazia, che vuol dire: il Signore si rivolgerà verso di me, si chinerà su di me, mi farà grazia di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni; camminerà con me, nelle mie prove si abbasserà su di me, mio confine di cielo, perché non gli sfugga un solo sospiro, una sola lacrima. Qualunque cosa accadrà quest'anno, Dio sarà chino su di me e mi farà grazia. Otto giorni dopo Natale ritorna lo stesso racconto di quella notte: Natale non è facile da capire. Facciamoci guidare allora da Maria, che custodiva e meditava tutte queste cose nel suo cuore; che cercava il filo d'oro che tenesse insieme gli opposti: una stalla e «una moltitudine di angeli», una mangiatoia e un «Regno che non avrà fine». Come lei, come i pastori, anche noi salviamo almeno lo stupore: a Natale il Verbo è un neonato che non sa parlare, l'Eterno è appena il mattino di una vita, l'Onnipotente è un bimbo capace solo di piangere. Dio ricomincia sempre così, con piccole cose e in alto silenzio.
 
Martedì, 24 Dicembre 2013 20:36

Dagli ultimi

273A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimentale, ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il senso della storia ha imboccato un'altra direzione: Dio verso l'uomo, il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dagli ultimi. Mentre a Roma si decidono le sorti del mondo, mentre le legioni mantengono la pace con la spada, in questo meccanismo perfettamente oliato cade un granello di sabbia: nasce un bambino, suf­ficiente a mutare la direzione della storia. La nuova capitale del mondo è Betlemme. Lì Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia... nella greppia degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una culla. La stalla e la mangiatoia sono un 'no' ai modelli mondani, un 'no' alla fame di potere, un no al 'così vanno le cose. Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia più in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio che salva. Natale è il più grande atto di fede di Dio nell'umanità, affida il figlio alle mani di una ragazza inesperta e generosa, ha fede in lei. Maria si prende cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo abbraccio. Allo stesso modo, nell'incarnazione mai conclusa del Verbo, Dio vivrà sulla nostra terra solo se noi ci prendiamo cura di lui, come una ma­dre, ogni giorno. C'erano in quella regione alcuni pastori... una nuvola di ali e di canto li avvolge. È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte... È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio riparte da loro. Vanno e trovano un bambino. Lo guardano: i suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame è la fame di Dio, quelle manine che si tendono verso la madre, sono le mani di Dio tese verso di loro. Perché il Natale? Dio si è fatto uomo perché l'uomo si faccia Dio. Cristo nasce perché io nasca. La nascita di Gesù vuole la mia nascita: che io nasca diverso e nuovo, che nasca con lo Spirito di Dio in me. Natale è la riconsacrazione del corpo. La certezza che la nostra carne che Dio ha preso, amato, fatto sua, in qualche sua parte è santa, che la nostra storia in qualche sua pagina è sacra. Il creatore che aveva plasmato Adamo con la creta del suolo si fa lui stesso creta di questo nostro suolo. Il vasaio si fa argilla di una vaso fragile e bellissimo. E nessuno può dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché Creatore e creatura ormai si sono abbracciati. Ed è per sempre.
 
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Sabato, 21 Dicembre 2013 17:08

I sogni del giusto

272Secondo il Vangelo di Luca l'Annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo l'angelo parla a Giuseppe. Chi ha ragione? Sovrapponiamo i due Vangeli e scopriamo che l'annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa insieme, al giusto e alla vergine innamorati. Dio non ruba spazio alla famiglia, la coinvolge tutta; non ferisce l'armonia, cerca invece un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, di molti sogni e moltissima fede. Dio è all'opera nelle nostre relazioni, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci, nelle oasi di verità e di amore che sottraggono il cuore al deserto. Maria si trovò incinta, dice Matteo. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Ma è insoddisfatto della decisione presa, perché è in­namorato di Maria, e continua a pensare a lei, presente fin dentro i suoi sogni. Giuseppe, l'uomo dei sogni, non parla mai, ma sa ascoltare il proprio profondo, i sogni che lo abitano: anzi, l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Non temere, non avere paura, sono le prime parole con cui nella Bibbia Dio apre il dialogo con gli uomini: la paura è il contrario della fede, della paternità, del futuro, della libertà. Perché Dio non fa paura; se hai paura, non è da Dio. Giuseppe prende con sé la madre e il bambino, preferisce l'amore per Maria, e per Dio, al suo amor proprio. La sua grandezza è amare qualcuno più di se stesso, il primato dell'amore. Per amore di Maria, scava spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo. E diventa vero padre di Gesù, anche se non è il genitore. Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo, è tutta un'altra avventura. Padri e madri si diventa nel corso di tutta la vita. L'annunciazione ha luogo nelle case. Al tempio Dio preferisce la casa, perché lì si gioca la buona battaglia della vita. Ogni giorno di vita offerto è una annunciazione quotidiana. Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo in cui ci attende tutta l'eternità. Dio ci benedice ponendoci accanto persone come angeli, annunciatori dell'infinito, e talvolta - per i più forti tra noi - ponendoci accanto persone che hanno bisogno, un enorme bisogno di noi. Ed è così che non ci lascia vivere senza mistero.
 
Venerdì, 13 Dicembre 2013 18:03

La statura dello spirito

271«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Grande domanda che permane intatta: perseveriamo dietro il Vangelo o cerchiamo altrove?
Giovanni è colto dal dubbio, eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: «È il più grande!» I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: io dubito, e Dio continua a volermi bene. Io dubito, e la fiducia di Dio resta intatta. Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una seconda opportunità, la loro vita cambia . Dove il Signore tocca, porta vita, guarisce, fa fiorire. La risposta ai nostri dubbi è semplicemente questa: se l'incontro con Lui ha prodotto in me frutti buoni (gioia, coraggio, fiducia nella vita, apertura agli altri, speranza, altruismo). Se invece non sono cambiato, se sono sempre quello di prima, vuol dire che sto sbagliando qualcosa nel mio rapporto con il Signore. I fatti che Gesù elenca non hanno trasformato il mondo, eppure quei piccoli segni sono sufficienti perché noi non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia con i miracoli. Ha promesso qualcosa di più forte ancora: il miracolo del seme, la laboriosa costanza del seme. Con Cristo è già iniziato, ma come seme che diventerà albero, un tutt'altro modo di essere uomini. Un seme di fuoco è sceso dentro di noi e non si spegne. Sta a noi ora moltiplicare quei segni (voi farete segni ancora più grandi dei miei), mettendo tempo e cuore nell'aiutare chi soffre, nel curare ogni germoglio che spunta, come il contadino: Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra. La fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere oltre l'inverno del presente, e la speranza laboriosa del contadino. Fino a che c'è fatica c'è speranza. Beato chi non trova in me motivo di scandalo. Gesù portava scandalo e lo porta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e le regole del potere, ha messo la persona prima della legge e il prossimo al mio pari. E tutto con i mezzi poveri, e il più scandalosamente povero è stata la croce. Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come piccolo e fortissimo seme di luce, goccia di fuoco che vive e geme nel cuore dell'uomo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.
 
Sabato, 07 Dicembre 2013 10:19

Piena di grazia

270Il Vangelo di Luca sviluppa il racconto dell'annuncio a Maria come la zoomata di una cinepresa: parte dall'immensità dei cieli, restringe progressivamente lo sguardo fino ad un piccolo villaggio, poi ad una casa, al primo piano di una ragazza tra le tante, occupata nelle sue faccende e nei suoi pensieri. L'angelo Gabriele entrò da lei. È bello pensare che Dio ti sfiora, ti tocca nella tua vita quotidiana, nella tua casa. Lo fa in un giorno di festa, nel tempo delle lacrime oppure quando dici a chi ami le parole più belle che sai.  La prima parola dell'angelo non è un semplice saluto, dentro vibra quella cosa buona e rara che tutti, tutti i giorni, cerchiamo: la gioia. «chaire, rallegrati, gioisci, sii felice». Non chiede: prega, inginocchiati, fai questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità. La seconda parola dell'angelo svela il perché della gioia: sei piena di grazia. Un termine nuovo, mai risuonato prima nella bibbia o nelle sinagoghe, letteralmente inaudito, tale da turbare Maria: sei colmata, riempita di Dio, che si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e tu ne trabocchi. Il suo nome è: amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata. Piena di grazia la chiama l'angelo, Immacolata la dice il popolo cristiano. Ed è la stessa cosa. Non è piena di grazia perché ha detto "sì" a Dio, ma perché Dio ha detto "sì" a lei prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi ognuno riempito di cielo. La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: come è possibile? Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l'intelligenza e poi pronuncia il suo sì, che allora ha la potenza di un sì libero e creativo. Eccomi, come hanno detto profeti e patriarchi, sono la serva del Signore. Serva è parola che non ha niente di passivo: serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore. «La risposta di Maria è una realtà liberante, non una sottomissione remissiva. È lei personalmente a scegliere, in autonomia, a pronunciare quel "sì" così coraggioso che la contrappone a tutto il suo mondo, che la proietta nei disegni grandiosi di Dio» (M. Marcolini). La storia di Maria è anche la mia e la tua storia. Ancora l'angelo è inviato nella tua casa e ti dice: rallegrati, sei pieno di grazia! Dio è dentro di te e ti colma la vita di vita.
 
Venerdì, 22 Novembre 2013 11:55

Sarai con me!

268Cristo re dell'universo, proclama la liturgia. Ma dov'è il suo regno, dov'è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani? Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare alcuni tratti del Regno. Il primo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Riconoscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, trasfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Qui è posta l'immagine nuova di Dio, l'assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all'uomo, ma che si sacrifica lui per l'uomo. Che al centro dell'universo non pone se stesso, ma l'uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la propria gloria o l'adorazione, ma la vita piena dell'uomo. Regale è davvero questo amore che si inabissa, dimenticandosi, nell'amato. Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nulla di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell'uomo; innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l'inganno. Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell'uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l'inizio di una umanità nuo­va. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di una storia diversa, l'annuncio di un regno di bontà e di perdono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che domanda di entrare. Ricordati di me - prega il ladro morente. Sarai con me risponde l'Amore. Sintesi ultima di tutte le possibili pre­ghiere. Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - risponde l'Amore. Solo ricordati e mi basta - prega l'ultimo respiro di vita. Sarai con me, risponde l'immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte. Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di dimenticare se stesso dentro la paura e la speranza dell'altro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uomini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all'anima la tentazione o la capacità di una cultura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione suprema della dignità dell'uomo: nel suo limite più basso l'uomo è sempre e ancora amabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.
 
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Venerdì, 15 Novembre 2013 18:28

A testa alta

editoriale 15-11-13Con il suo linguaggio apocalittico il brano non racconta la fine del mondo, ma il significato, il mistero del mondo. Vangelo dell'oggi ma anche del domani, del domani che si prepara nell'oggi. Se lo leggiamo attentamente notiamo che ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un tornante che apre l'orizzonte, la breccia della speranza: non è la fine, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina. Al di là di profeti ingannatori, anche se l'odio sarà dovunque, ecco quella espressione struggente: Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; ribadita da Matteo 10,30: i vostri capelli sono tutti contati, non abbiate paura. Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato di ogni mio frammento. Il vangelo ci conduce sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall'altro il versante della tenerezza che salva. In questa lotta contro il male, contro la potenza mortifera e omicida presente nella storia e nella natura, " con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". La vita - l'umano in noi e negli altri - si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime. Scegliendo sempre l'umano contro il disumano (Turoldo). Perseveranza vuol dire: non mi arrendo; nel mondo sem­brano vincere i più violenti, i più crudeli, ma io non mi arrendo. Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arrendo. Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. Perché il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. La violenza si autodistruggerà (M. Marcolini). Il Vangelo si chiude con un'ultima riga profezia di speranza: risollevatevi, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, liberi: così vede i discepoli il vangelo. Sollevate il capo, guardate lontano e oltre, perché la realtà non è solo questo che si vede: viene un Liberatore, un Dio esperto di vita. Sulla terra intera e sul piccolo campo dove io vivo si scaricano ogni giorno rovesci di violenza, cadono piogge corrosive di menzogna e corruzione. Che cosa posso fare? Usare la tattica del contadino. Rispondere alla grandine piantando nuovi frutteti, per ogni rac­colto di oggi perduto impegnarmi a prepararne uno nuovo per domani. Seminare, piantare, attendere, perseverare vegliando su ogni germoglio della vita che nasce.
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Domenica, 10 Novembre 2013 10:35

Figli della risurrezione

editoriale 10-11-13I sadducei propongono a Gesù una storia paradossale per mettere in ridicolo l'ipotesi stessa della risurrezione. Ci sono molti cristiani come sadducei: l'eternità appare loro poco attraente, forse perché percepita più come durata che come intensità; come prolungamento del presente, mentre in primo luogo è il modo di esistere di Dio. C'erano sette fratelli, e quella donna mai madre e vedova sette volte, di chi sarà nell'ultimo giorno? Non sarà di nessuno. Perché nessuno sarà più possesso di nessuno. All'inizio, nei sette fratelli preme un'ansia di dare la vita, un bisogno di fecondità. Alla fine, l'ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione. In Dio e nell'uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare. La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all'ombra delle sue ali. Quelli che risorgono non prendono moglie né marito, dice Gesù. In quel tempo sarà inutile il matrimonio, ma non inutile l'amore. Perché amare è la pienezza dell'uomo e la pienezza di Dio. Saranno come angeli. Gli angeli non sono le creature gentili e un po' evanescenti del nostro immaginario. Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell'ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire, illuminare, reggere, rendere bello l'amore. Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità. «Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi». Dio «di»: in questo «di» ripetuto cinque volte è contenuto il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio ap­partiene a loro, loro appartengono a Dio. Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre... Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza. Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre. 
 
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