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Visualizza articoli per tag: luce sul mistero

Sabato, 11 Maggio 2013 08:02

Siede alla nostra destra

248«E, alzate le mani, li benediceva». L'ultima imma­gine di Gesù sono le sue ma­ni alzate a benedire. «E, mentre li benediceva, veni­va portato su, in cielo». Quella benedizione è la sua parola definitiva, raggiunge ciascuno di noi, non è più terminata, non è mai finita. Una in-finita benedizione che rimane tra cielo e terra, si stende come una nube di primavera sulla storia inte­ra, su ogni persona, è trac­ciata sul nostro male di vivere, sull'uomo caduto e sulla vittima, ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite.

Nella Bibbia la benedizione indica sempre una forza vi­tale, una energia che scende dall'alto, entra in te e pro­duce vita. Come la prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «cresce­te e moltiplicatevi». Vita che cresce, in noi e attorno a noi. La benedizione è questa for­za più grande di noi che ci avvolge, ci incalza; un flus­so che non viene mai meno, a cui possiamo sempre at­tingere, anche nel tempo delle malattie e delle delu­sioni.

Una benedizione ha lascia­to il Signore, non un giudi­zio; non una condanna o un lamento, ma una parola bel­la sul mondo, di stima, di e­norme speranza in me, in te, di fiducia nel mondo: c'è del bene in te; c'è molto bene in ogni uomo, su tutta la terra. Di questo voi sarete testi­moni: il Cristo doveva pati­re e risuscitare; nel suo no­me annunciate a tutti la conversione e il perdono. Sono le ultime parole di Gesù, con le tre cose es­senziali: - ricordare la croce e la Pa­squa. L'abbraccio del croci­fisso che non può più an­nullarsi, ci raggiunge tutti e ci trascina in alto con lui. E la Pasqua: i massi rotolati via dall'imboccatura del cuore, come da quella del sepol­cro. E nel giardino è prima­vera.
- la conversione. Non è un comando, ma una offerta; non un dovere ma una opportunità: nascere di nuo­vo. Seguendo Gesù, vedrai, la vita è più bella, il sole più luminoso, le persone più buone e felici.
- il perdono. Non quello di uno smemorato, che di­mentica il male, ma quello di un creatore: che ti fa ri­partire ad ogni alba verso terre intatte; che apre futu­ro, fa salpare la tua vita co­me una nave prima arena­ta.

Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre e nel profondo. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede al­la destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, nella luce dell'alba, «nel­l'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore».
 
Sabato, 27 Aprile 2013 08:22

Amare è capire la verità

247Amatevi, come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare (lo fanno molti, dovunque, sempre, e alcuni in un modo che dà luce al mondo) ma amare come Cristo. Con il suo modo unico di iniziare dagli ultimi, di lasciare le novantanove pecore al sicuro, di arrivare fino ai nemici.

La prima caratteristica dell'amore evangelico: amare come Cristo. Non: quanto Cristo, impresa impossibile all'uomo, il confronto ci schiaccerebbe. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile.

Con quel suo amore creativo, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. Amore che ti fa debole eppure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male.

La seconda caratteristica: «Come io ho amato voi». L'amore cristiano è anzitutto un amore ricevuto, accolto. Come un'anfora che si riempie fino all'orlo e poi tracima, che diventa sorgente. L'amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l'amore viene da Dio, non dalla mia bravura: amare comincia con il lasciarsi amare. Non siamo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio.

È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l'ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l'idolo del denaro.

Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo.

Amore guerriero e lottatore.

Ma se il male è contro di Lui allora è agnello mite che non apre bocca.

Terza caratteristica «Amatevi gli uni gli altri»: tutti, nessuno escluso; guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore e chi no. È l'uomo. Ogni uomo, perfino l'inamabile. Gli uni gli altri significa inoltre reciprocità. Non siamo chiamati solo a spenderci per gli altri, ma anche a lasciarci amare: è nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita.

Amore è intelligenza e rivelazione; amare è capire più a fondo: Dio, se stessi e il cuore dell'essere. Come Gesù quando fa emergere la verità profonda di Pietro: «Mi ami tu, adesso?». E non gli importa di quando nel cortile di Caifa, Cefa, la Roccia, ha avuto paura di una serva. Amore che legge l'oggi, ma intuisce già il domani del cuore. E ripete a Pietro e a me: il tuo desiderio di amore è già amore.
 
Sabato, 20 Aprile 2013 16:30

Il servizio dell’Ascolto

245Le mie pecore ascoltano la mia voce. Ascoltare: il primo di tutti i servizi da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto. Il primo strumento per tessere un rapporto. Ascoltare qualcuno è già dirgli: tu sei importante, tu mi interessi. Amare è ascoltare. Pregare è ascoltare Dio. Ma perché la Sua voce merita di essere ascoltata? Gesù risponde: perché io do loro la vita eterna. Ed è importante, per una volta almeno, fermare tutta l'attenzione proprio su quanto Gesù si impegna a fare per noi. Lo si fa così raramente. Tutti sono lì a ricordarci i nostri doveri, a richiamarci all'impegno, allo sforzo per far fruttare i talenti, per mettere in pratica i comandamenti. Molti cristiani rischiano di scoraggiarsi perché non ce la fanno. Ed io con loro. E allora è bene, è salute dell'anima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: io do loro la vita eterna. Vita per sempre, senza condizioni, prima di tutte le mie risposte; vita di Dio che è donata, riversata dentro, come un seme che inizia a muoversi, se appena mi avvicino un po' al Signore. «Nessuno le strapperà dalla mia mano». Notiamo la forza di questa parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata: nessuno le strapperà mai dalla mano del Padre. Nessuno ci porterà via dalle mani di Dio. Il nostro destino è inseparabile da quello di Dio. La vita eterna è un posto fra le mani di Dio. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita. Le mani di Dio. Mani di pastore contro i lupi, mani impigliate nel folto della vita, mani che proteggono la mia fiamma smorta, mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi a nessuno, mani che sollevano la donna adultera, mani inchiodate in un abbraccio che non può terminare, e poi offerte perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio. Dalla certezza che a Dio l'uomo importa inizia l'avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare. Anche a noi l'uomo importa. Ciascuno pastore di un minimo gregge: hanno nomi e cognomi i miei agnelli, a partire dalla mia famiglia... Ciascuno può essere mano da cui non si rapisce. Poterlo dire a coloro che amo: nessuno vi strapperà via. Ogni discepolo, anche se non è ancora e mai il Cristo, è però un Cristo iniziale, con la sua stessa missione: essere nella vita datore di vita. (E. Ronchi)
 
Venerdì, 12 Aprile 2013 21:44

Dio abita il cuore dell'uomo

244Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affascinanti di tutta la letteratura.

Tre domande, come nella sera dei tradimenti, attorno al fuoco nel cortile di Caifa, quando Cefa, la Roccia, ebbe paura di una serva. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ricomporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti.

Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiegazioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assolvere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore: Pietro, mi ami tu, adesso?

La nostra santità non consiste nel non avere mai tradito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo.

Le tre domande di Gesù sono sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro risponde dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri, ma non rimane neppure nei termini esatti della questione: infatti mentre Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore assoluto, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, quello dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Ed ecco la seconda domanda:

Simone figlio di Giovanni, mi ami? Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il confronto con gli altri, ma rimane la richiesta dell'amore assoluto. Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non avesse capito bene, usando ancora il suo verbo, quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si aggrappa all'amicizia, all'affetto.

Nella terza domanda, è Gesù a cambiare il verbo, abbassa quella esigenza alla quale Pietro non riesce a rispondere, si avvicina al suo cuore incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo:

Pietro, mi vuoi bene?

Gli domanda l'affetto se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene.

Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'esigenze dell'amore, rallentando il suo passo sulla misura del discepolo, fino a che le esigenze di Pietro, la sua misura d'affetto, il ritmo del suo cuore diventano più importanti delle esigenze stesse di Gesù. L'umiltà di Dio. Solo così l'amore è vero. E io so che nell'ultimo giorno, se anche per mille volte avrò sbagliato, il Signore per mille volte mi chiederà solo questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte: Ti voglio bene. (E. Ronchi)
Sabato, 06 Aprile 2013 19:46

Pace che sgorga dalle ferite

243Venne Gesù, a porte chiuse. C'è aria di paura in quella ca­sa, paura dei Giudei, ma anche e soprattutto paura di se stessi, di come lo ave­vano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta.
Eppure Gesù viene. L'ab­bandonato ritorna da quel­li che sanno solo abbandonare, il tradito si mette di nuovo nelle mani di chi lo ha tradito.
«E sta in mezzo a loro». Ec­co da dove nasce la fede cri­stiana, dal fatto che Gesù sta lì, dal suo esserci qui, vi­vo, adesso. Il ricordo, per quanto appassionato, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di pensiero. La fede nasce da una presenza, non da una rievocazione.
«Venne Gesù e si rivolge a Tommaso» Nel piccolo gregge cerca proprio colui che dubita: «Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!». Ecco Gesù: non si scandalizza di tutti i miei dubbi, non si impressiona per la mia fatica di credere, non pretende la mia fede piena, ma si avvicina a me. A Tommaso basta questo gesto. Chi si fa vicino, ten­de le mani, non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare!
Tommaso si arrende. Si ar­rende alle ferite che Gesù non nasconde, anzi esibisce:
il foro dei chiodi, tocca­lo; lo squarcio nel fianco, puoi entrarci con una ma­no;
piaghe che non ci sa­remmo aspettati, pensava­mo che la Risurrezione a­vrebbe cancellato, rimargi­nato e chiuso le ferite del Venerdì Santo.
E invece no! Perché la Pa­squa non è l'annullamento della Croce, ma ne è la continuazione, il frutto maturo, la conseguenza. Le ferite sono l'alfabeto del suo amore.
Il Risorto non porta altro che le ferite del Crocifisso, da esse non sgorga più sangue, ma luce. Porta l'oro delle sue ferite. Penso alle ferite di tanta gente, per de­bolezza, per dolore, per di­sgrazia. Nelle ferite c'è l'o­ro. Le ferite sono sacre, c'è Dio nelle ferite, come una goccia d'oro.
Ciascuno può essere un guaritore ferito. Proprio quelli che parevano colpi duri o insensati della vita, ci hanno resi capaci di comprendere altri, di veni­re in aiuto. La nostra debo­lezza diventa una forza. Co­me dice Isaia: guarisci altri e guarirà presto la tua feri­ta, illumina altri e ti illumi­nerai.
Tommaso si arrende alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto: Pace a voi! Non un augurio, non una sem­plice promessa, ma una affermazione: la pace è qui, è in voi, è iniziata. Quella sua pace scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla no­stra vicenda di dubbi e di sconfitte, come una bene­dizione immeritata e felice.
 
Sabato, 30 Marzo 2013 13:07

Il respiro della fede

242E' ancora buio e le donne si recano al sepolcro di Gesù, le mani cariche di aromi. Vanno a prendersi cura del corpo di lui, con ciò che hanno, come solo le donne sanno. Al buio, seguendo la bussola del cuore.

Gesù non ha nemici fra le donne. Solo fra di loro non ha nemici.

Come il sole, Cristo ha preso il proprio slancio nel cuore di una notte: quella di Natale - piena di stelle, di angeli, di canti - e lo riprende in un'altra notte, quella di Pasqua: notte di naufragio, di terribile silenzio, di buio ostile, dove veglia un pugno di uomini e di donne totalmente disorientati.

Notte dell'Incarnazione, in cui il Verbo si fa carne. Notte della Risurrezione in cui la carne indossa l'eternità, in cui si apre il sepolcro, vuoto e risplendente nel fresco dell'alba. E nel giardino è primavera. Così respira la fede, da una notte all'altra.

Pasqua ci invita a mettere il nostro respiro in sintonia con quell'immenso soffio che unisce incessantemente il visibile e l'invisibile, la terra e il cielo, il Verbo e la carne, il presente e l'oltre.

Il racconto di Luca è di e­strema sobrietà: entrarono e non trovarono il corpo di Gesù.

Il primo segno di Pasqua è la tomba vuota. Nella storia umana manca un corpo al bilancio della violenza; i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo alla contabilità della morte, il suo bilancio è negativo. La storia cambia: il violento non avrà in eterno ragione della sua vittima.

Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Il bellissimo nome che gli danno gli angeli: Colui che è vivo! Io sento che qui è la scommessa della mia fede: se Cristo è vivo, adesso, qui. Non tanto se vive il suo insegnamento o le sue idee, ma se la sua persona, se lui è vivo, mi chiama, mi tocca, respira con me, semina gioia, e ama. Non simbolicamente, non apparentemente, non idealmente, ma realmente vivo.

Perché Cristo è risorto? Dio l'ha risuscitato perché fosse chiaro che un amore così è più forte della morte, che una vita come la sua non può andare perduta.

«Forte come la morte è l'amore»! dice il Cantico. Il vero nemico della morte non è la vita, ma l'amore. Nell'alba di Pasqua non a caso chi si reca alla tomba sono quelli che hanno fatto l'esperienza dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, il discepolo amato, sono loro i primi a capire che l'amore vince la morte.

Noi tutti siamo qui sulla terra per fare cose che meritano di non morire. Tutto ciò che vivremo nell'amore non andrà perduto.


Mercoledì, 27 Marzo 2013 20:27

Prende benedice e dona

241«Alla mensa è legata la promessa di fare abitare noi nel Cristo e il Cristo in noi: egli rimane in me e io in lui. Ma quando il Cristo dimora in noi, di che mancheremo ancora? Quale bene potrebbe sfuggirci? E, dimorando noi nel Cristo, che altro potremmo desiderare? Che può avere in comune col vizio chi è divenuto splendente a questa Mensa? Quale male potrà resistere a tale cumulo di beni?» (Nicolas Cabasilas, La vita in Cristo). Gesù prende, benedice, spezza e dona, sono i termini dell’Alleanza che compie la Pasqua. Il Signore riprende gli elementi essenziali del pasto rituale ebraico: «In quella circostanza gli israeliti rivivevano innanzitutto l’Esodo, ma con esso anche gli altri eventi importanti della loro storia: la vocazione di Abramo, il sacrificio di Isacco, l’alleanza del Sinai, i tanti interventi di Dio in difesa del suo popolo. Anche per i cristiani l’Eucaristia è “memoriale”, ma lo è in una misura unica: non ricorda soltanto, ma attualizza sacramentalmente la morte e la risurrezione del Signore» (Giovanni Paolo II, giovedì santo 2005). In questa prospettiva si comprende il senso del «benedire-rendere grazie», eucaristia appunto! La Pasqua ebraica è compiuta perché nella consegna di Gesù si manifesta il «si» totale e definitivo del Figlio al Padre ed in questa linea il suo è l’unico, e vero sacrificio.
 

Sabato, 23 Marzo 2013 07:25

La vittoria della vita

240Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. «Volete sapere qual­cosa di voi e di Me? - dice il Signore -. Vi do un appunta­mento: un uomo in croce. Volgete lo sguardo a Colui che è posto in alto».

Il giorno prima, giovedì, l'appuntamento di Dio è stato un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il tuo lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ma Tu sei tutto matto. E Lui a ribadire: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Il cristianesimo è scandalo e follia.

E io, nella vita, di fronte all'uomo che atteggiamento ho? Quanto somigliante a quello del Salvatore? Sono il servitore del bisogno e della gioia di mio fratello? Sono il lavapiedi dell'uomo?

Ve la immaginate una umanità dove ognuno corre ai piedi dell'altro? Dove ognuno si inchina davanti all'uomo, come il gesto emozionante del vescovo di Roma che si inchina, al balcone di San Pietro, al suo primo apparire, chiedendo preghiera e benedizione, dando venerazione e onore a ogni figlio della terra?

La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner).

Dio è così: è bacio a chi lo tradisce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici a me, sacrifica se stesso per me.

E noi qui disorientati, che non capiamo. Ma poi lo stupore, e anche l'innamoramento. Dopo duemila anni sentiamo, come le donne, il centurione, il ladro, che nella Croce c'è attrazione e seduzione, c'è bellezza. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morir d'amore. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.

Fondamento della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: un atto d'amore totale. La croce è domanda sempre aperta, so di non capire. Alla fine però ciò che convince è di una semplicità assoluta:

Perché la croce / il sorriso / la pena inumana?/ Credimi / è così semplice / quando si ama. (Jan Twardowski)

Si fece buio su tutta la terra da mezzogiorno fino alle tre. Una notazione temporale che ha il potere di riempirmi di speranza: perché dice che è fissato un limite alla tenebra, un argine al dolore: tre ore può infierire, ma non andrà oltre, poi il sole ritorna. Così fu in quel giorno, così sarà anche nei giorni della nostra angoscia.

«Ciò che ci fa credere è la croce, ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce, la vittoria della vita» (Pascal).
 
Sabato, 16 Marzo 2013 14:58

Non sono venuto a condannare

239Una trappola ben congegnata, per porre Gesù o contro Dio o contro l'uomo. Gli scribi e i farisei gli condussero una donna... la posero in mezzo.

Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è una cosa, che si prende, si porta, si conduce, si pone di qua o di là, dove a loro va bene. Che si può mettere a morte. Una donna su cui gli uomini possono fare la massima delle violenze, compiuta per di più dagli uomini del sacro, legittimata da un Dio terribile e oscuro, amante non della vita ma della morte. Una donna ferita nella persona, nella sua dignità, nella sua grandezza e inviolabilità. Contro la quale i difensori di Dio commettono un peccato più grave del peccato che vogliono punire.

Gesù si chinò e scriveva col dito per terra... Davanti a quella donna Gesù china gli occhi a terra, come preso da un pudore santo davanti al mistero di lei. Gli fa male vederlo calpestato in quel modo.

«Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei».Gesù butta all'aria tutto il vecchio ordinamento con una battuta sola, con parole taglienti e così vere che nessuno può ribattere.

Nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno. Ecco la giustizia di Dio: non quella degli uomini ma quella di Gesù, il giusto che giustifica, il santo che rende giusti, venuto a portare non la resa dei conti ma una rivoluzione radicale dei rapporti tra Dio e uomo, e di conseguenza tra uomo e uomo. A raccontare di una mano, di un cuore amorevole che ci prende in braccio e, per la prima volta, ci ama per quello che siamo, perdonando ogni errore, sciogliendo ogni ferita, ogni dolore. Più avanti compirà qualcosa di ancor più radicale: metterà se stesso al posto di quella donna, al posto di tutti i condannati, di tutti i colpevoli, e si lascerà uccidere da quel potere ritenuto di origine divina, spezzando così la catena malefica là dove essa ha origine, in una terribile, terribilmente sbagliata idea di Dio.

Va e d'ora in poi non peccare più: ciò che sta dietro non importa, importa il bene possibile domani. Tante persone vivono come in un ergastolo interiore. Schiacciate da sensi di colpa, da errori passati, e abortiscono l'immagine divina che preme in loro per crescere e venire alla luce. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono dare ai fratelli libertà e perdono.

Va', muoviti da qui, vai verso il nuovo, e porta lo stesso amore, lo stesso perdono, a chiunque incontri. Il perdono è il solo dono che non ci farà più vittime e non farà più vittime, né fuori né dentro noi. (E. Ronchi)
 
Sabato, 09 Marzo 2013 07:50

La fiducia che libera dal male

238Ogni volta davanti a questa parabola mi si allarga il cuore, sento gioia e un grande stupore. Qui sento palpitare il cuore di Dio, e tutto il mio vagabondare nel buio.

Il centro della parabola è un Padre buono, che ama senza misura, in modo illogico, quasi ingiusto, forte come una roccia nel saper attendere, dando fiducia e libertà, e tenero come una madre nel saper accogliere.

Questo Padre buono non vuole una casa abitata da servi, obbedienti e scontenti, ma da figli liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli che non si amano, forse perché non si sentono amati, forse perché si credono servi.

Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Il Padre non si oppone, non è mai contro la mia libertà, non la limita, anzi: «se c'è una preferenza nell'amore­passione è proprio verso la pecorella smarrita, perché essa, abbandonando le comodità dell'ovile, si avventura a sperimentare fino in fondo la sua libertà» ( G. Vannucci).

Il giovane parte e fa naufragio, il libero ribelle diventa schiavo. Eppure nel momento in cui la notte è più profonda, lì comincia a spuntare il giorno: «allora rientrò in se stesso: io qui muoio di fame».

E inizia il viaggio di ritorno. Non torna per amore, torna per fame. Non perché è pentito, ma perché la morte gli cammina a fianco. Cercava un buon padrone, non osava ancora, non osava più cercare un padre: «trattami come un servo».

Ma al padre non importa il motivo per cui un figlio ritorna, «lo vide da lontano, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Al solo muovere il piede già mi ha visto; io cammino, lui corre; io parlo: «non sono degno, trattami da servo», lui mi interrompe, per convertirmi proprio da quell'idea. Vuole salvarmi dal mio cuore di servo e restituirmi un cuore di figlio. Il peccato dell'uomo è di essere schiavo invece che figlio di Dio (S. Fausti). Dio è padre solo se ha dei figli, vivi.

«Accettare il perdono di Dio è una delle più grandi sfide della vita spirituale. C'è qualcosa in noi che si aggrappa ai nostri peccati e non lascia che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo» ( H. Nouwen). Accettare l'amore è forse più difficile che darlo.

Il Padre non chiede rimorsi o penitenze, a lui non interessa giudicare e neppure assolvere, ma aprire un futuro di vita. Non è il rimorso, non è la penitenza, non è la paura che libera dal male, non il pareggio tra dare e avere, ma un «di più» di vita, un disequilibrio gioioso, la fiducia, l'abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore. (E. Ronchi)
 
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