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Venerdì, 06 Gennaio 2012 08:43

Preludio della Pasqua

176La sapienza concordistica di Matteo si adopera, con lussuoso talento letterario, a trasportare nell’immagine di questi indefiniti “sciamani” d’oriente, per metà mercanti e per metà astrologi, la potenza onirica dell’antica profezia isaiana, festosa apocalissi dominata dalla luce, immaginazione di un compimento in cui il mondo intero viene calamitato con la forza di attrazione di una splendida presenza. L’incarnazione del Figlio, se merita digressioni in merito alla cronaca simbolizzata della sua nascita umana, rappresenta l’apice dell’aspirazione  originariamente universalistica dell’alleanza promessa dal Dio degli eserciti. Essa era da sempre immaginata come rivolta a tutte le genti della terra. La sua promessa, ancorché affidata alla testimonianza  di un solo popolo, ha sempre avuto per oggetto l’indistinta passione di Dio  per la creazione intera  e come destinatario l’intangibile sacrario di ogni libertà umana. I magi attratti dalla stella simbolizzano le genti raccolte dal richiamo universale della rivelazione. L’ “Universalità” dell’evento cristiano, che persino la vicenda terrena di Gesù dovrà pazientemente imparare da una straniera che chiede briciole di pane per i propri cuccioli, sta già anche nella metafora del viaggio con cui l’evangelista confeziona il racconto. Da Ulisse a Pinocchio, da Marco Polo a don Chisciotte, la narrazione umana del senso non ha mai trovato di meglio che un racconto di viaggio per rinnovare le domande legate all’enigmatico itinerario dell’esistenza. Per tutti in fondo, l’avventura è sempre la stessa. Per trovare la propria identità occorre inseguire un desiderio, trovare qualcosa, stare in coda a una stella. Il problema sarà dopo cosa cercare, dove trovarlo, che strade percorrere, di chi fidarsi, come orientarsi. “Universale” è anche il male che ogni volta sorge per opporre la propria invidia al commovente affidamento umano. Sotto le mentite spoglie dell’ossequio e dietro la maschera della filantropia, il potere in cui il male si incarna si affida alla presunta ingenuità dei buoni per infrangere l’attraente e gratuita presenza del bene. Il male non sa esistere che travestendosi da bene. Lo dirà a ragion veduta anche Gesù da grande: state attenti a quelli che si fanno chiamare “benefattori”. Sicché l’ombra del male è già protesa a lambire la vita del Figlio non appena essa comincia a emettere i suoi primi fragili bagliori. Si è già nel pieno della passione in questo esordio di vangelo che fa muovere i suoi attori nello sfolgorio di una notte piena di luci. Questo segno “universale”, miracolosamente contenuto nella minuscola forma umana del neonato, capace di attrarre come un magnete le strade riottose degli umani, avrà il suo concreto compimento nell’immagine definitiva del Cristo crocifisso, incondizionato parto dell’alleanza, giunto a termine tra il ghigno dei malvagi e l’addolorato stupore degli amici. Quello che i magi vedono, attraverso la penna premonitrice dell’evangelista, è già il Figlio che, innalzato da terra, attira tutti a sé. (Giuliano Zanchi).
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Not-02-01-12-okSi è rinnovata in tutte le Comunità dell’Ordine della Madre di Dio, il tradizionale dono del Santo protettore dell’anno. Il gesto voluta da San Giovanni Leonardi per i confratelli della Comunità il primo giorno dell’anno, si è diffuso nelle chiese parrocchiali dell’Ordine della Madre di Dio. Il gesto richiama il dono della santità con il quale percorrere i giorno dell’anno nuovo. Accompagnati dall’amicizia e dalla testimonianza dei Santi i quali tracciano per noi  la strada realizzabile della beatitudine evangelica.

2 gennaio 2012
Pubblicato in 2012
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Sabato, 31 Dicembre 2011 09:24

Dio della Riconciliazione e della Pace

175Nella convenzione umana dei transiti cronologici la liturgia ci saluta con quella forma di augurio che si chiama “benedizione”. Ci facciamo gli auguri non per inerzia scaramantica ma perché ci vogliamo bene. Vorremmo tutto il bene di ciascuno. In questo la parola biblica ci mette sulla via di una coltivazione “laica” della speranza. Accogliamo difatti la benedizione di Dio non come “l’abracadabra” di un sortilegio di cui accaparrare le sillabe, ma come una promessa d’amore di cui riascoltare emozionati il suono. Succede di tutto a questo mondo, eppure Dio non smette di “dire bene di noi,  Mentre con presuntuosa ansia di prestazione ci immaginiamo eroi della speranza  nel credere  in lui, restiamo ingenuamente ignari del fatto che in realtà è “Dio a credere in noi”. Se il nostro tempo possiede una certezza, essa sta tutta entro questi limiti. Ci sono mote cose da imparare dal racconto evangelico che indora questo sommesso mormorare della speranza. Anzitutto dall’euforia dei pastori, trasformati da una sognante tradizione  nell’immobile dolcezza  di gesso dei mestieri di una volta, certamente popolo di cuori traboccanti di fiducia nella vita con gli occhi spalancati  al primo segno di grazia capace di affiorare dalla terra. Da loro s’impara la necessità di condividere l’inatteso dono. La gioia è come il dolore. Ha sempre bisogno di qualcuno che aiuti a portarne il peso. Non esiste felicità individuale. Se non lega ad altri, essa è semplicemente parodia di sentimenti immaginari. Si deve imparare molto dal silenzio di Maria, Il silenzio – così ci insegna, senza dire una parola, la madre del Signore Gesù- non è assenza di pensieri, vuoto delle idee, deserto dell’immaginazione. Non è nemmeno rassegnazione di fronte alla vita che spesso ci lascia senza parole. Il silenzio nasce invece come spazio di distillazione delle cose vissute. Custodire le cose nel segreto e meditarle nel cuore significa edificare alte mura di protezione attorno alla grazia quotidiana che la vita ci fa incontrare offrendo ad essa come casa il nostro corpo: “domus aurea”.  Nell’orto chiuso di questa tenace distillazione spirituale è possibile produrre, con insistenza che deve essere instancabile, gli antidoti al risentimento, al conflitto, all’antagonismo, a quella metastasi dei sentimenti che mette l’uomo contro l’uomo. In questa liturgia si chiede pace. Ma ci terrebbe sideralmente lontani dalle nostre possibilità, pur rimanendo al cuore delle nostre preoccupazioni, la retorica della “pace nel mondo”, senza misurare le dirette responsabilità della pace sempre da curare nel tumultuoso mare dei nostri ambigui sentimenti. Si chieda perciò, in questo salto di tempo, perdono per le inimicizie, per i rancori che dividono, per il male che si insinua, con felpata discrezione, persino nel perimetro degli affetti più cari. Si cerchi di essere grati per tutte quelle volte in cui si è riusciti a volersi bene, per quanto si è stati alla stessa tavola, rinnovando l’immenso invisibile miracolo del patto umano. (Giuliano Zanchi)
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1Quinta de Tilcoco, Cile. Sabato 24 dicembre nel vespro del ricordo della nascita di nostro Signore, le comunità parrocchiali di S. Lazzaro e di Nostra Signora di Guadalupe, hanno fatto un viaggio per celebrare il Natale insieme ai bambini della “Villa P. Alceste”. Ad accogliere il singolare pellegrinaggio  P. Guillermo Arceu OMD (parroco) mentre il gruppo è stato accompagnato dal  P. Delegato,  Alejandro Abarca OMD. La giornata è stata marcata dai  giochi,dai  balli, e dalla fraterna condivisione. Significativa la consegna dei regali che i piccoli ospiti della “Villa” avevano chiesto al “Bambino Gesú”. Un centianio tra laici, religiosi e padri, hanno potuto sperimentare in pieno l’esperienza della “Villa”, è come ha testimonianto uno dei convenuti: “il regalo più valido è stato percepire il volto del Bambino Gesù in quello di questi piccoli”.

27 dicembre 2011
Pubblicato in 2011
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Natale-in-campitelliNella notte santa P. Francesco Petrillo Rettore Generale  ha celebrato la solenne liturgia di Natale nella Chiesa di Santa Maria in Campitelli a Roma. Dopo aver accolto e mostrato ai fedeli l’immagine del divino Bambin Gesù,  ha pronunziato l’omelia ricordando che: “La luce vista rifulgere dal profeta Isaia ‘su coloro che abitavano in terra tenebrosa’, è l’apparizione della ‘grazia di Dio’.Questa espressione  significa che nel cuore di Dio dimora un’attitudine di benevolenza verso l’uomo, che si rivela mediante il dono del suo Figlio unigenito: ‘Egli ha dato se stesso per noi’, dice ancora l’Apostolo. La luce di questa notte santa è dunque la manifestazione della salvezza donata all’uomo in Cristo. È questa infatti la notizia dell’angelo ai pastori: Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. Inoltre, ha proseguito il Padre affermando che: “La luce apparsa questa notte illumina anche il mistero dell’uomo. Essa lo rende consapevole della sua dignità. Se Dio si prende cura dell’uomo fino al punto di condividerne la condizione, quale valore deve avere ai suoi occhi ogni uomo! Veramente in questa notte è stata affermata per la prima volta l’infinita preziosità di ogni singola persona umana.”

25 dicembre 2011

P. Generale omelia notte di natale 2011 


 
Pubblicato in 2011
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Not-25-12-11---okPer un’antichissima tradizione che risale agli inizi della Chiesa di Roma, i cristiani celebrano il mistero del Natale del Signore nel cuore della notte, ricordando il silenzio che tutto avvolgeva quando il Figlio di Dio si fece uomo e la luce brillò davanti ai pastori, i quali accolsero il lieto annunzio della nascita del Salvatore. Anche i cristiani, nella notte santa, celebrano, in comunione con il Santo Padre Benedetto XVI, il mistero del Natale del Signore: mistero della Luce che brilla nelle tenebre, della Parola fatta carne, del Pane disceso dal cielo; e con tutti i cristiani che nel mondo fanno memoria di questo evento della Salvezza. Prima dell’inizio della Santa Messa è stato proclamato l’annunzio della nascita del Signore, attraverso il canto dell’antico testo della ‘Kalenda’, l'annuncio del Natale che è un canto di splendida ricapitolazione dell'attesa universale del compimento dell'Avvento del Signore. Al termine della Kalenda, un diacono ha sollevato il velo che copriva la statua di Gesù Bambino, collocata davanti all’altare della Confessione.

Nell’omelia della Santa Messa della notte di Natale, papa Benedetto XVI ha detto che l’essenza del Natale è in un verbo della lettera di san Paolo apostolo a Tito, che “inizia solennemente con la parola ‘apparuit’, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – ‘è apparso’. E’ questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini. Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è ‘apparso’. Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente?... Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo”. Quindi la celebrazione del Natale, ha sottolineato papa Benedetto XVI, non è sentimentalismo, o festa commerciale, ma realtà oggettiva: “Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro, il nostro, amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce”.

25 dicembre 2011

Benedetto XVI omelia della Notte di Natale 25 dicembre 2011

Video messa di mezzanotte 25 dicembre 2011







Pubblicato in 2011
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Sabato, 24 Dicembre 2011 14:51

Dio nasce

174Mentre i “poteri forti” della cultura mondana divulgano l’apologia del soggetto vincente, emancipato, atletico, iperattivo, esaltando l’ideale della vita esuberante, il realismo della spregiudicatezza, la retorica libertaria dell’autocostruzione, noi riusciamo a rimanere affezionati alla narrazione cristiana di principi che si incarnano nella debolezza, nella nudità, nella dipendenza, la cui icona imperitura rimane l’inerme fragilità di un neonato. Se succede, significa che, nonostante tutto, non siamo ancora perduti. Abbiamo ancora un’anima. Per quanto avvolti e attratti da modelli umani che ci impongono l’eterna irresponsabilità di un’astratta giovinezza di plastica e che ci tengono sotto la mortificante morsa dell’inadeguatezza, ogni tanto, come per un sussulto di residua coscienza, sentiamo la voglia di rinascere, di tornare ad una immaginaria innocenza dove ancora tutto si può fare, dove nessuno ha già scritto per noi gli standard su come dobbiamo essere. La storia di Dio che nasce come ogni altro uomo possiede ancora l’energia narrativa sufficiente ad intercettare questi nostri bisogni di libertà umana. La storia di come è nato Gesù ci fa sentire meno soli. Attenua il nostro disagio, ci protegge dal narcisismo di massa. Il Figlio del Dio degli eserciti viene al mondo mentre l’imperatore, celebrando gli iperbolici riti del potere mondano, organizza un censimento, venendo così subito a contatto con la Storia, quella grande che va sui libri, portata di solito a fare violenza alla storia piccola, quella del limitato segmento delle vite personali. Imperterrita, la Storia fa le sue capriole e detta le sue leggi, senza guardare se una ragazza è incinta e non dovrebbe mettersi in viaggio. La Storia ci travolge spesso, con i suoi “unidicisettembre”, le sue crisi internazionali, le sue depressioni economiche, lasciandoci vagare in un sentiero invisibile alle rilevazioni satellitari. La Storia, con la complicità di coloro che la governano, riduce quasi sempre gli uomini a numeri da segnare su un registro. Però poi esiste il miracolo di questa memoria evangelica capace ancora di farci sentire che Dio conserva una passione illimitata per le piccole storie invisibili e che in quel Figlio che nasce risplende qualcosa che ci può salvare. Ci fortifica il coraggio del Dio dell’alleanza deciso a lasciarsi contenere nella minuscola storia di un uomo, così certo della bontà della propria creazione da farne la dimora del proprio Figlio, dalla quale ribadire, con la silenziosa e ostinata perentorietà della vita, che il senso del tempo sta tutto e solo nel gesto di reciprocità con cui l’amore  trasforma solitudini in legami. Mentre un imperatore misura la grandezza del mondo sommando milioni di individui tutti uguali, il Dio della creazione, nel segreto di una nascita, annuncia che l’avvento di ciascun uomo vale l mondo intero. Non esiste complesso di inadeguatezza di fronte  al gesto con cui il Dio di Gesù ci dichiara, con azzardo tutto umano, di ritenerci degni del suo amore, della sua passione, della sua stessa vita. (Giuliano Zanchi).
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Venerdì, 23 Dicembre 2011 07:45

Professione Solenne di Arulraj Christu Nayagam OMD

ArulSantiago del Cile. La scorsa domenica, 18 dicembre, il Chierico Arulraj Christu Nayagam OMD a fatto la sua professione perpetua nel nostro istituto nelle mani del nostro Padre Delegato, Alejandro Abarca OMD. Nella Eucaristia, celebrata nella parrocchia San Lazaro, il nostro fratello e stato accompagnato da tutti i membri delle comunità religiose e parrocchiali dell’Ordine in Cile, anche degli amici, laici, religiosi e religiose più vicini. Durante la liturgia, sono state molto emozionanti le parole rivolte al neoprofesso da parte del Padre Delegato, che hanno sottolineato come lui “non si trova da solo”-facendo ricordo del dono della vocazione, della sua famiglia e della sua terra- “…ma, che qui ha una gran famiglia che lo accompagna e gli vuol bene”. Poi nel ringraziamento Arul, ha fatto notare la gioia dell’ azione di Dio nella sua vita e anche nell’itinerario percorso fin ad ora in Cile.  Arul, trascorrerà un tempo in India, per visitare la sua famiglia e i fratelli delle comunità dell’Ordine. A lui i nostri auguri e le nostre preghiere.

21 dicembre 2011
Pubblicato in 2011
Sabato, 17 Dicembre 2011 14:08

Dio ha una casa

173L’ingenua presunzione del re Davide, di cui la Scrittura con superba libertà conserva dentro di sé il dettagliato documento, mette in mostra tutta l’improntitudine a cui può arrivare un uomo appagato, giunto al culmine dei propri progetti, avvolto dalla consolante agiatezza di una vita importante. Essa prende forma attraverso un’ambizione  che va a toccare i limiti stessi di quella trascendenza grazie a la quale il Dio dell’alleanza cerca di proteggere l’infantile invadenza umana . Davide immaginando di barattare con la devozione il senso di colpa della sua esistenza agiata, formula la pretesa di mettere su casa a Dio, avvolgendo la presunzione nell’involucro di pretesti fatui e pelosi. Nell’ambizioso progetto di costruire una casa a Dio, per equiparare la felice condizione di un re che abita “in una casa di cedro”, sta innanzitutto tutta l’ambiguità di una devozione  che pretende di determinare le condizioni del divino ad immagine e somiglianza dell’umano. Poiché il re vive in una casa, anche Dio deve averne una. Ma l’ambizioso progetto tradisce  anche il potere con cui l’uomo devoto pensa di poter definire i confini entro i quali Dio può stare dentro la storia umana. Ogni volta che è successo, la religione si è affrettata a diventare uno strumento di preservazione  di interessi molto umani. Naturalmente attraverso la voce  del profeta, l’Altissimo stesso ironizza su questa boriosità regale travestita da filiale sentimento religioso. Dio ride dell’uomo che si prende troppo sul serio che dimentica la grazia invisibile che ha costruito la sua fortuna, che trasforma una fortuna avuta in dono nell’arroganza paternalistica dell’uomo che si è fatto da sé. La voce di Dio annuncia che sarà ancora una volta l’iniziativa divina a garantire una casa alla boriosa vicenda umana di questo piccolo re terreno. La promessa di una casa risuona come l’offerta di un destino, sulla linea di una discendenza  lungo l’asse di una promessa antica secondo la quale, nella catena delle generazioni, l’Altissimo resta implicato fino a legare a sé il sangue dell’uomo. La casa di Davide, quella che il Dio del’alleanza si premura di costruire, disegna un progetto che attraversa le generazioni, fino ad incontrare l’assenso scandaloso di una ragazza nubile, a cui Dio si rivolge con la libertà  con cui ci si rivolge ad un uomo. Un Dio femminista che toglie di mezzo i maschi di casa, si rivolge direttamente ad una giovane femmina, mettendola in croce di fronte alle ferree convenzioni della sua tradizione, cercandone trepidamente l’assenso per un progetto che l’antico e potente re nemmeno sarebbe stato in grado di immaginare. Solo la sovranità divina può essere così umile da stare con il fiato sospeso di fronte alle labbra di una ragazza. Ma solo grazie a questa divina audacia la promessa rinnovata davanti alla presunzione di Davide ha trovato il suo definitivo compimento. Dio ha una casa. Ma la casa di Dio in mezzo agli uomini è la carne umana del Figlio (Giuliano Zanchi)
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la-cantoriaIl Festival di musica Rinascimentale Barocca “La Cantoria” ha voluto domenica 11 dicembre commemorare il centenario della nascita dell’Architetto Carlo Rainaldi. La serata ha visto un intreccio di parole e musica, nella Chiesa di Campitelli sistemata appositamente per il concerto svolto dalla Cantoria centrale sulla controfacciata. Il festival ideato dal Maestro di Cappella Vincenzo Di Betta che ha diretto i Vespri di de Victoria ed il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi. Le partiture sono state eseguite dall’Ensamble Campitelli, dal Coro da Camera Italiano e dall’Ensamble Bernini. Un canto sublime e armonico che è nato in questi spazi per la vita liturgica e la celebrazione del Mistero. In effetti, il festival ha questo obiettivo, consegnare una comunicazione musicale intreccio di suoni, emozioni e musica così come è stata percepita da coloro che l’anno ideata e prodotta. E’ un “cadere” della musica (Cf. T. Scarpa, Stabat Mater) ed un accadere di eventi che educano all’ascolto e alla interiorità. Ben venga questa esperienza nel vasto panorama della spiritualità e cultura romana. “La cantoria è un luogo altro già per la sua collocazione architettonica, non più chiesa e non ancora cielo” , ha affermato Anna Elena Masini presentando la serata patrocinata dall’Ordine della Madre di Dio e onorata da una medaglia commemorativa offerta dal Signor Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Così, “la musica come evento non tangibile”, traccia per i fedeli la strada del suono: si ascolta ma non si vede, preludio del Mistero celebrato. L’esecuzione vera e propria è stata preceduta da due autorevoli interventi. L’architetto Paolo Portoghesi  che ha presentato le forme rainaldine della chiesa di Campitelli.  La trasformazione della città ad opera delle tre figure di spicco, Bernini, Borromini e Piero da Cortona costringono il Rainaldi in questa fioritura architettonica, a creare una “quarta via”. Alessandro VII che commissionò l’opera accogliendo il voto di Roma liberata dalla pestilenza per intercessione della prodigiosa immagine di Santa Maria in Portico, ebbe a cuore la trasformazione della città, egli –ha proseguito Portoghesi- “si occupò di Roma come ci si occupa di una donna amata. Nella sua camera da letto aveva da una parte la bara, dall’altra il modello dell’Urbe”. Il Rainaldi in un primo tempo realizza un progetto ovale di stampo borrominiano, ma l’obiettivo della chiesa-santuario implicò l’idea “del pellegrinaggio”. Così, utilizzando l’ordine classico della Roma imperiale, impresse nell’elemento prospettico “un impianto scenografico che controlla lo spazio attraverso la luce”. La colonna simbolo della Chiesa “indipendente dalla struttura” diventò il modella della “quarta via” architettonica offerta dal Rainaldi. Di seguito l’intervento del Prof. Claudio Strinati ha evidenziato il senso e l’uso della Cantoria. Nella struttura architettonica e simbolica di una Chiesa “il cielo è la cupola e la cantoria è in una posizione intermedia”.  Rainaldi era anche musicista e questo, “ non deve stupire perché la sua formazione si svolge negli anni 20 del seicento dove Roma era la capitale della musica”. In effetti, “il cantare in cantoria è nato in Italia. Un canto che piove dall’alto, non collegabile al dato visivo. Questa fu una concezione mirabile sviluppatasi nel Centro Nord Italia. Il suono che viene dall’alto è portato a salire, caratteristica tipica del Barocco, il cielo che canta la suprema dolcezza della musica che acquieta le passioni che si scatenano nella vita terrena”. Il modello musicale rainaldiano fu quello dell’Oratorio di Carissimi nato nell’ambiente filippino che inventò l’oratorio sacro: “racconto misto tra recitativi e ariosi”.

15 dicembre 2011
Pubblicato in 2011
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