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Visualizza articoli per tag: luce sul mistero

Sabato, 12 Aprile 2014 10:37

Morire per amore

289In questa settimana per due volte la Chiesa si raccoglie nella lettura della Passione di Cristo, del patire di un Dio appassionato. La lettura più bella e regale che si possa fare, dove tutto ruota attorno alle due cose che toccano il nervo di ogni vita: l'amore e il dolore, la lingua universale dell'uomo. Lo ha capito per primo, sul Calvario, non un discepolo, ma un estraneo. Alla morte di Gesù, infatti il primo atto di fede è quello di un lontano, un centurione pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non dallo sfolgorio di luce, di giorni nuovi, di un sole mai visto, no, ma davanti e dentro la tenebra del venerdì, vedendolo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, un verme nel vento, questo soldato esperto di morte dice: era figlio di Dio. Morire così è rivelazione. Morire d'amore è cosa da Dio. Il nostro Dio è differente. Perché è salito sulla croce? Per essere con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui.

Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. L'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di essere insieme con l'amato, come una mamma quando il figlio sta male... e vorrebbe prendere su di sé il male del suo bambino, ammalarsi lei per guarire suo figlio. Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Per trascinarlo fuori, in alto, con sé. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato. Lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa e riguardo la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti a­mo. Proprio me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo.

C'erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano. Piccolo gregge sgomento e coraggioso: la chiesa nasce dalla contemplazione del volto del Dio crocifisso (C.M.Martini), la chiesa nasce in quelle donne, che hanno verso Gesù lo stesso sguardo di amore e di dolore che Dio ha sul mondo. Le prime «pietre viventi» sono donne. Per diventare chiesa, dobbiamo anche noi sostare con queste donne accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, disprezzato, umiliato, ricacciato indietro, naufragato. Con santa Maria e le donne sentiamo nostra la passione di ogni figlio dell'uomo: il mondo è tutto una collina di croci. Restiamo accanto, a portare conforto, speranza, pa­ne, umanità, vita. Solo così sentiremo a Pasqua che «ro­tola armoniosamente la nostra vita nella mano di Dio» (H. Illesum).
 
Venerdì, 04 Aprile 2014 14:32

Le lacrime di Dio

288Nella vita degli amici di Gesù irrompono la morte e il miracolo. Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto. Dolcemente, come si fa con chi amiamo, Marta rimprovera l'amico: va diritta al cuore di Gesù, e Gesù va diritto al cuore delle cose: Tuo fratello risorgerà . E Marta: so che risorgerà nell'ultimo giorno. Ma quel giorno è così lontano dal mio desiderio e dal mio dolore. Marta parla al futuro: So che risorgerà, Gesù parla al presente: Io sono, e incide due parole tra le più importanti del Vangelo: Io sono la risurrezione e la vita. Come alla samaritana è ancora a una donna che Gesù regala parole che sono al centro di tutta la fede: Io ci sono e sono la vita! Sono colui che adesso, qui, fa rinascere e ripartire da tutte le cadute, gli inverni, gli abbandoni. Notiamo la successione delle due parole «Io sono la Risurrezione e la vita». Prima viene la Risurrezione, poi la vita, e non viceversa. Risurrezione è un'esperienza che interessa prima di tutto il nostro presente e non solo il nostro futuro. A risorgere sono chiamati i vivi, noi, prima che i morti: a svegliarci e rialzarci da tutte le vite spente e immobili, addormentate e inutili; a fare cose che rimangano per sempre: Da morti che eravamo ci ha fatti rivivere con Cristo, con lui risuscitati (Efesini 2,5-6). La vita avanza di risurrezione in risurrezione, verso l'uomo nuovo, verso la statura di Cristo, verso la sua misura. O uomo prendi coscienza della tua dignità regale, Dio in te... (Gregorio di Nissa), che ti trasforma, e fa la vita più salda, amorevole, generosa, sorridente, creativa, libera. Eterna. Che rotola armoniosa nelle mani di Dio. Gesù si commosse profondamente e scoppiò in pianto. Dissero allora: guarda come lo amava! Piange e le sue lacrime sono la sua dichiarazione d'amore a Lazzaro e alle sorelle. Dio piange e piange per me: sono io Lazzaro, io sono l'amico, malato e amato, che Gesù non accetta gli sia strappato via. Dalle lacrime di Dio impariamo il cuore di Dio. Il perché della nostra risurrezione sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo adesso, risorgeremo dopo la morte, perché amati. Il vero nemico della morte non è la vita ma l'amore. Forte come la morte è l'amore, dice il Cantico. Ma l'amore di Dio è più forte della morte. Se il nome di Dio è amore, allora il suo nome è anche Risurrezione. Lazzaro, vieni fuori! Liberatelo e lasciatelo andare. Tre parole per risorgere, tre ordini che risuonano per me: esci, liberati e vai. Con passo libero e glorioso, per sentieri nel sole, in un mondo abitato ormai dalla più alta speranza: qualcuno è più forte della morte.
 
Venerdì, 28 Marzo 2014 15:06

Occhi nuovi

287Dentro la luce del giorno cerchiamo tutti un'altra luce, come il cieco dalla nascita che scopre progressivamente la verità di Gesù: è un profeta, è il figlio dell'Uomo, è il Signore. Come lui, abbiamo bisogno di fede visibile e vigorosa, di fede che sia pane, che sia visione nuova delle cose. Gesù, dopo un gesto iniziale carico di simboli e di tenerezza, scompare, lasciando la scena alla dialettica degli altri, tutti a difendersi, ad attaccare, a parlare senza sosta e senza gioia. E nessuno che provi pena per gli occhi vuoti del cieco; nessuno che si entusiasmi per i nuovi occhi illuminati. Gesù non ci sta, non ha nulla da spartire con un mondo fatto di parole e di teorie. Egli è la «compassione», non la spiegazione. Esattamente ciò che cerca la muta speranza del cieco: mani che lo tocchino, e qualcuno che sugli occhi spenti metta qualcosa di proprio, come quella piccola liturgia di mani, di fango, di saliva, di cura, che Gesù celebra. Cerca partecipazione, non spiegazione. Invece i farisei hanno edificato un mondo di parole e di sofismi, che non sa più ascoltare la vita. Come loro anch'io talvolta chiudo l'uomo vivente e dolente dentro la griglia della teoria religiosa o della norma etica. È un mondo cieco, dove coloro che si dicono sapienti non sanno più parlare alla speranza. Burocrati delle regole e analfabeti del cuore. Infatti nelle parole dei farisei il termine più ricorrente è peccato: «noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore»; «sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». Prima ancora i discepoli avevano chiesto: «chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?». La loro è una religione immiserita a questioni di peccato. E il peccato è innalzato a teoria che spiega il mondo e interpreta la realtà. E perfino l'agire di Dio. Ma il peccato non è rivelatore, rende ciechi, davanti all'uomo e davanti a Dio. E Gesù capovolge immediatamente questa mentalità: l'uomo non coincide con il suo peccato, ma il bene possibile. E non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; e per assicurare che Dio non spreca la sua eternità in castighi, che non può essere appiattito sul nostro moralismo. Egli è compassione, futuro, approccio ardente, mano viva che tocca il cuore e lo apre, porta luce e fa nascere. Egli vive per me e dalle sue mani la vita fluisce per me, come fiume e come sole, gioiosa, inarrestabile, eterna.
 
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Sabato, 22 Marzo 2014 18:54

Maestro di umanità

286Gesù attraversa il paese dei samaritani, forestiero in mezzo a gente d'altra tradizione e religione, e il suo agire è già messaggio: incontra, parla e ascolta, chiede e offre, instaura un dialogo vero, quello che è «reciproca fecondazione» (R. Panikkar). In questo suo andare libero e fecondo fra gli stranieri, Gesù è maestro di umanità. Lo è con il suo abbattere barriere: la barriera tra uomo e donna, tra la gente del luogo e i forestieri, tra religione e religione. È maestro perché fonte di nascite: - fa nascere un incontro e un dialogo là dove sembrava impossibile, e questo a partire dalla sua povertà: «Ho sete!». Ha sete della nostra sete, desiderio del nostro desiderio. Dobbiamo imparare a dare come dà Gesù: non con la superiorità di chi ha tutto, ma con l'umiltà di chi sa che può molto ricevere da ogni persona; - fa nascere una donna nuova. Quando parla con le donne Gesù va diritto al cuore, conosce il loro linguaggio, quello del sentimento, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere: «Vai a chiamare colui che ami». Perché l'amore è la porta di Dio, ed è Dio in ciascuno. Hai avuto cinque mariti. E quello di ora... Gesù non giudica la samaritana, non la umilia, anzi: hai detto bene! Non esige che si metta in regola prima di affidarle l'acqua viva, non pretende di decidere il suo futuro. È il Messia di suprema delicatezza, di suprema umanità, che incarna il volto bellissimo di Dio. Gesù raggiunge la sete profonda di quella donna offrendo un «di più» di bellezza, di bontà, di vita, di primavera: «Ti darò un'acqua che diventa sorgente che zampilla». L'acqua è vita, energia di vita, grazia che io ricevo quando mi metto in connessione con la Fonte inesauribile della vita. Gesù dona alla samaritana di ricongiungersi alla sua sorgente e di diventare lei stessa sorgente. Un'immagine bellissima: un'acqua che tracima, dilaga, che va, un torrente che è ben più di ciò che serve alla sete. La sorgente non è possesso, è fecondità. «A partire da me ma non per me» (M. Buber). La samaritana abbandona la brocca, corre in città, ferma tutti per strada, testimonia, profetizza, contagia d'azzurro e intorno a lei nasce la prima comunità di discepoli stranieri. La donna di Samaria capisce che non placherà la sua sete bevendo a sazietà, ma placando la sete d'altri; che si illuminerà illuminando altri, che riceverà gioia donando gioia. Diventare sorgente, bellissimo pro­getto di vita per ciascuno: far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore. A partire da me, ma non per me.
 
Venerdì, 14 Marzo 2014 14:31

Un cuore di luce

285Dal deserto di pietre al monte di luce. Dalle tentazioni alla trasfigurazione. Il cammino di Cristo è quello di ogni discepolo, cammino ascendente e liberante: dal buio delle tentazioni attraversato fino alla luce di Dio. Cos'è la luce di Dio? È energia e bellezza. Per il corpo: sostiene la nostra vita biologica. Per la mente: sapienza che fa vedere e capire. Per il cuore, che rende capaci di amare bene. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Come il sole, come la luce. Quante volte nella Bibbia, nei salmi, Dio sorge glorioso come un sole: il sole chiama alla vita, a fiorire a maturare a dare frutto. Accende la bellezza dei colori e degli occhi. Come la pianta che cattura la luce del sole e la trasforma in vita, così noi, fi­li d'erba davanti a Dio, possiamo imbeverci, intriderci della sua luce e tradurla in calore umano, in gioia, in sapienza. Gesù ha un volto di sole, perché ha un sole interiore, per dirci che Dio ha un cuore di luce. Ma quel volto di sole è anche il volto dell'uomo: ognuno ha dentro di sé un tesoro di luce, un sole interiore, che è la nostra immagine e somiglianza con Dio. La vita spirituale altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce sepolta in noi. Signore, Pietro prende la parola, che bello essere qui! Restiamo quassù insieme. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! Ci fanno capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello!» gridato a pieno cuore. Come Pietro sul monte: è bello con te, Signore! Questo Vangelo è per dirci che la Quaresima più che un tempo di lutto e penitenza, è un girarsi verso la bellezza e la luce. Acquisire fede significa acquisire bellezza del vivere, acquisire che è bello amare, abbracciare, dare alla luce, esplorare, lavorare, seminare, ripartire perché la vita ha senso, va verso un esito buono, qui e nell'eternità. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il suo volto, non solo le sue vesti sul Tabor, non solo i nostri sogni. Ma la vita, qui, adesso, di tutti. Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all'esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissime al nostro andare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio. Allora tutto il creato si fa trasparente e il divino traspare nel fondo di ogni essere (Teilhard de Chardin) e gronda di luce ogni volto di uomo (Turoldo).
 
Sabato, 01 Marzo 2014 10:15

Dipendenti dal cielo

283Gesù rilancia la sua sfida per un altro modo di essere uomini: non preoccupatevi delle cose, c'è dell'altro che vale di più. È la sfida contenuta nella preghiera nel Padre Nostro: dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ti chiediamo solo il pane sufficiente per oggi, il pane che basta giorno per giorno, come la manna nel deserto, non l'affanno del di più. È la sfida del monaco: conosco monasteri che vivono così, come uccelli e come gigli, quotidianamente dipendenti dal cielo. Ma questa sfida è anche per tutti noi, pieni di cose e spaventati dal futuro. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consapevolezza, libertà, amore. Vuoi volare alto, come un uccello, vuoi fiorire nella vita come un giglio? Allora devi deporre dei pesi. Madre Teresa di Calcutta soleva dire: tutto ciò che non serve pesa! Meno cose e più cuore! Non una rinuncia, ma una liberazione. Dalle cose, dalla 'roba' diventata padrona dei pensieri. Guardate gli uccelli del cielo... Osservate i gigli del campo... se l'uccello avesse paura perché domani può arrivare il falco o il cacciatore, non canterebbe più, non sarebbe più una nota di libertà nell'azzurro. Se il giglio temesse la tempesta che domani può arrivare, o ricordasse il temporale di ieri, non fiorirebbe più. Gesù osserva la vita, e la vita gli parla di fiducia e di Dio. E a noi dice: beati i puri di cuore perché vedranno Dio, vedranno in tutto ciò che esiste un punto verginale e fiducioso che è la presenza di Dio, vi scopriranno un altare dove si celebra la comunione tra visibile e invisibile. Allora: non affannatevi, quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contemplare un fiore, una musica, la primavera. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in più. Non è moralista il Vangelo, non si oppone al desiderio di cibo e vestito, dicendo: è sbagliato, è peccato, non serve. Anzi, tutto questo lo avrete, ma in tutt'altra luce. «Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione» ( Vannucci). Libera dai piccoli desideri, per desiderare di più e meglio, per cercare ciò che fa volare, ciò che fa fiorire e ti mette in armonia con tutto ciò che vive. Insegna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole creature e con Dio. Cercate il regno, occupatevi della vita interiore, delle relazioni, del cuore; cercate pace per voi e per gli altri, giustizia per voi e per gli altri, amore per voi e per gli altri. Meno cose e più cuore! E troverete libertà e volo.
 
Sabato, 15 Febbraio 2014 07:29

Parole da vertigini

281Avete inteso che fu detto, ma io vi dico... Gesù non annuncia una nuova morale più esigente e impegnativa. Queste, che sono tra le pagine più radicali del Vangelo, sono anche le più umane, perché qui ritroviamo la radice della vita buona. Il discorso della montagna vuole condurci alla radice, lungo una doppia direttrice: la linea del cuore e la linea della persona. Il grande principio di Gesù è il ritorno al cuore, che è il laboratorio dove si forma ciò che poi uscirà fuori e prenderà figura di parola, gesto, atto. È necessa­rio guarire il cuore per guarire la vita. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira, chiunque alimenta dentro di sé rabbie e rancori, è già omicida. Gesù risale alla radice prima, a ciò che genera la morte o la vita. E che san Giovanni esprimerà in un'affermazione colossale: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1Gv 3,15). Cioè: chi non ama uccide. Non amare qualcuno è togliergli vita; non amare è un lento morire. Ma io vi dico: non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù arriva al divieto della menzogna. Di' la verità sempre, e non servirà più giu­rare. Così porta a compi­mento, sulla linea del cuore, le conseguenze già implicite nella legge antica. E poi la linea della persona: Se tu guardi una donna per desiderarla sei già adultero... Non dice: se tu, uomo, desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio è un servitore indocile, ma importante. Dice: Chi guarda per desiderare, e vuol dire: se tu guardi solo per il tuo desiderio, se guardi il suo corpo per il tuo piacere, allora tu pecchi contro la sua persona. Tu allora sei un adultero, nel senso originario di adulterare: tu falsifichi, tu inquini, tu impoverisci la persona. Perché riduci a oggetto per te, a corpo usa e getta la persona, che invece è abisso, oceano, cielo, angelo, profondità, vertigine. Pecchi non tanto contro la legge, ma contro la profondità e la dignità della persona, che è icona di Dio. Perché la legge è sempre rivelazione dei comportamenti che fanno crescere l'uomo in umanità, o che ne diminuiscono l'umanità e la grandezza, che è come dire rivelazione di ciò che rende felice l'uomo. È un unico salto di qualità quello che Gesù propone, la svolta fondamentale: passare dalla legge alla persona, dall'esterno all'interno, dalla religione del fare a quella dell'essere. Il ritorno al cuore, là dove nascono i grandi «perché» delle azioni. Allora il vangelo è facile, umanissimo, anche quando dice parole come queste, che danno le vertigini.
 
Sabato, 08 Febbraio 2014 22:51

Dio è luce

280Dio è luce: una delle più belle definizio­ni di Dio (1 Giovanni 1,5). Ma il Vangelo oggi rilancia: anche voi siete luce. Una delle più belle definizioni dell'uomo. E non dice: voi dovete essere, sforzatevi di diventare, ma voi siete già luce. La luce non è un dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio. La Parola mi assicura che in qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, noi tutti, con Dio in cuore, siamo luce da luce, proprio come proclamiamo di Gesù nella professione di fede: Dio da Dio, luce da luce. Io non sono né luce né sa­le, lo so bene, per lunga esperienza. Eppure il Vangelo parla di me a me, e dice: Non fermarti alla superficie, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore; là, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto, ma una responsabilità. Voi siete la luce, non io o tu, ma voi. Quando un io e un tu s'incontrano generando un noi, quando due sulla terra si amano, nel noi della famiglia dove ci si vuol bene, nella comunità accogliente, nel gruppo solidale è conservato senso e sale del vivere. Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce: Spezza il tuo pane, introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente... Allora la tua luce sorgerà come l'aurora (Isaia 58,10). Tutto un incalzare di azioni: non restare curvo sulle tue storie e sul­le tue sconfitte, ma occu­pati della città e della tua gente, illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirà la tua vita. Voi siete il sale, «che ascende dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole. Allo stesso modo il discepolo ascende, rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina» (Vannucci). Ma poi discende sulla mensa, perché se resta chiuso in sé non serve a niente: deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi. Il sale dà sapore: Io non ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2 ,1 -5). «Sapere» è molto più che «conoscere»: è avere il sapore di Cristo. E accade quando Cristo, come sale, è disciolto dentro di me; quando, come pane, penetra in tutte le fibre della vita e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore. Il sale conserva. Gesù non dice «voi siete il miele del mondo», un generico buonismo che rende tutto accettabile, ma il sale, qualcosa che è una forza, un istinto di vita che penetra le scelte, si oppone al degrado delle cose, e rilancia ciò che merita futuro.
 
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Venerdì, 31 Gennaio 2014 13:14

Gesù appartiene all’uomo

279Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio per presentarlo al Signore, ma non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna se lo contendono: Gesù non appartiene al tempio, egli appartiene all'uomo. È nostro, di tutti gli uomini e le donne assetati, di quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; di quelli che sanno vedere oltre, come Anna, e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. Gesù non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo, due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio. Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io le conservassi nel cuore: tu non morirai senza aver visto il Signore. La tua vita non si spegnerà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per me il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire. Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, già in atto, di un Dio all'opera tra noi, lievito nel nostro pane. Simeone aspettava la consolazione di Israele. Lui sapeva aspettare, come chi ha speranza. Come lui il cristiano è il contrario di chi non si aspetta più niente, ma crede tenacemente che qualcosa può accadere. Se aspetti, gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili e vedono: ho visto la luce preparata per i popoli. Ma quale luce emana da questo piccolo figlio della terra? La luce è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, mescola la sua vita alle nostre. E a quella di tutti i popoli, di tutte le genti... la salvezza non è un fatto individuale, che riguarda solo la mia vita: o ci salveremo tutti insieme o periremo tutti. Simeone dice poi tre parole immense a Maria, e che sono per noi: egli è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione. Cristo come caduta e contraddizione. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, che fa cadere in rovina il nostro mondo di maschere e bugie, che contraddice la quieta mediocrità, il disamore e le idee false di Dio. Cristo come risurrezione: forza che mi ha fatto ripartire quando avevo il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. Risurrezione della nobiltà che è in ogni uomo, anche il più perduto e disperato. Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro alla vita, aprono brecce. Gesù ha il luminoso potere di far vedere che le cose sono abitate da un «oltre».
 
Sabato, 25 Gennaio 2014 21:53

Lo sguardo creatore

278La parola inaugurale di Gesù, premessa a tutto il Vangelo è: convertitevi. E subito il «perché» della conversione: perché il regno si è fatto vicino. Ovvero: Dio si è fatto vicino, vicinissimo a te, ti avvolge, è dentro di te. Allora «convértiti» significa: gìrati verso la luce, perché la luce è già qui. La conversione non è la causa ma l'effetto della tua «notte toccata dall'allegria della luce» (Maria Zambrano).  Immaginavo la conversione come un fare penitenza del passato, come una condizione imposta da Dio per il perdono, pensavo di trovare Dio come risultato e ricompensa all'impegno. Ma che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni? Gesù viene a rivelarci che il movimento è esattamente l'inverso: è Lui che mi incontra, che mi raggiunge, mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualcosa, prima che io sia buono, Lui mi è venuto vicino. Allora io cambio vita, cambio luce, cambio il modo di intendere le cose. Scrive padre Vannucci: «la verità è che noi siamo immersi in un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto». Quando finalmente me ne rendo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a Paolo a Damasco. Abbandono le barche come i quattro pescatori, lascio le piccole reti per qualcosa di ben più grande. Gesù passando vide... Due coppie di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di più: in Si­mone bar Jona vede Kefa', Pietro, la roccia su cui fondare la sua chiesa; in Giovanni intuisce il discepolo dalla più folgorante definizione di Dio: Dio è amore; Giacomo sarà «figlio del tuono», uno che ha dentro la vibrazione e la potenza del tuono. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo creatore, una profezia. Mi guarda, e vede in me un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura, una generosità che non sapevo di avere, strade nel sole. Nel suo sguardo vedo per me la luce di orizzonti più grandi.  Venite dietro a me: vi farò pescatori di uomini. Raccoglieremo uomini per la vita. Li porteremo dalla vita sepolta alla vita nel sole. Risponderemo alla loro fame di libertà, amore, felicità. I quattro pescatori lo seguono subito, senza sapere dove li condurrà, senza neppure do­mandarselo: hanno dentro ormai le strade del mondo e il cuore di Dio. Gesù camminava per la Galilea e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. La bella notizia è che Dio cammina con te, senza condizioni, per guarire ogni male, per curare le ferite che la vita ti ha inferto, e i tuoi sbagli d'amore. Dio è con te e guarisce. Dio è con te, con amore: la sola cosa che guarisce la vita.  Questo è il Vangelo di Gesù: Dio con voi, con amore.
 
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