
Curia Generale dell'Ordine
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A Natale è Dio che cerca l'uomo. All'Epifania, è l'uomo che cerca Dio. Ed è tutto un germinare di segni: come segno Maria ha un angelo, Giuseppe un sogno, i pastori un Bambino nella mangiatoia, ai Magi basta una stella, a noi bastano i Magi. Perfino Erode ha il segno: dei viaggiatori che giungono dall'Oriente, culla della luce, a cercare un altro re.
La prima lettura biblica del nuovo anno fa scendere su di noi una benedizione colma di luce, in cui prendere respiro per l'avvio del nuovo anno: il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli. Voi benedirete: per prima cosa, che lo meritino o no, voi li benedirete. Dio ci raggiunge non proclamando dogmi o impartendo divieti, ma benedicendo. La sua benedizione è una energia, una forza, una fecondità di vita che scende su di noi, ci avvolge, ci penetra, ci alimenta. Dio chiede anche a noi, figli di Aronne nella fede, di benedire uomini e storie, il blu del cielo e il giro degli anni, il cuore dell'uomo e il volto di Dio. Mio e tuo compito per l'anno che viene: benedire i fratelli! Se non impara a benedire, l'uomo non potrà mai essere felice.
A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimentale, ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il senso della storia ha imboccato un'altra direzione: Dio verso l'uomo, il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dagli ultimi.
Nel Vangelo profetizzano per prime le madri, due donne con il grembo carico di cielo, abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo Testamento: la prima parola di Dio è la vita. Dio viene come vita. Due donne, la vergine e la sterile, entrambe incinte in modo «impossibile» annunciano che viene nel mondo un «di più», viene ciò che l'uomo da solo non può darsi. Dio viene come gioia. Per due volte Luca ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino è l'umanità intera che sperimenta che Dio dà gioia, la terra intera che freme per le energie divine che in essa sono deposte ogni giorno. Dio viene come abbraccio. La preghiera di Maria non nasce nella solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, in uno spazio di affetto. Dio viene nelle mie relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. «Le mie braccia allargate sono appena l'inizio del cerchio. Un Amore più vasto lo compirà» (M. Guidacci). «Benedetta tu fra le donne!» La prima parola di Elisabetta è una benedizione che da Maria discende su tutte le donne. Benedetta sei tu fra le donne che sono, tutte, benedette. Ad ogni frammento, ad ogni atomo di Maria, sparso nel mondo e che ha nome donna (G. Vannucci) vorrei ripetere la profezia di Elisabetta: che tu sia benedetta, che benefico agli umani sia il frutto dell'intera tua vita. Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe avere il «primato della benedizione». Dire a qualcuno «ti benedico!» significa vedere il bene in lui, prima di tutto il bene e la luce, e il buon grano, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. Se non imparo a benedire chi ho accanto, la vita, non potrò mai essere felice. Ogni prima parola con Dio abbia il primato del ringraziamento. Come fa Maria con il suo Magnificat, che è il suo Vangelo: la lieta notizia dell'innamoramento di Dio, che ha posto le sue mani nel folto della vita. Per dieci volte Maria ripete: è lui, è lui che guarda, è lui che innalza, è lui che riempie, è lui. Il centro del cristianesimo è ciò che Dio fa per me, non ciò che io faccio per Dio. Anch'io abiterò la vita con tutta la mia complessità, con la parte di Zaccaria che fatica a credere, di Elisabetta che sa benedire, con la parte di Maria che sa lodare, di Giovanni che sa danzare, portando in molti modi il Signore nel mondo. E forse verrà pronunciata anche per me la parola: Benedetto sei tu perché porti il Signore, come Maria. (E. Ronchi)
«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Nelle parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Sofonia racconta un Dio felice il cui grido di festa attraversa questo tempo d'avvento e ogni tempo dell'uomo e ripete, a me, a te, ad ogni creatura: «tu mi fai felice». Tu, festa di Dio.
Il Vangelo chiama a confronto storia e profezia. La grande storia è riassunta da Luca nell'elenco iniziale di sette nomi propri che tracciano la mappa del potere politico e religioso. Sono sette, a simboleggiarne la pienezza e a convocare tutto il potere di ogni tempo e di ogni luogo. Alla geografia dei potenti sfuggono però un deserto, un uomo, una parola. Il quasi-nulla, quanto basta tuttavia a mutare la direzione della storia: mentre a Roma si decidevano le sorti dei popoli, mentre Pilato, Erode, Anna e Caifa si spartivano il potere su quella terra assolata e passionale, su questo meccanismo perfettamente oliato, cade un granello di sabbia del deserto, un granello di profezia: la Parola discese, a volo d'aquila, sopra la sua preda, Giovanni, figlio di Zaccaria e figlio del miracolo, nel deserto. La nuova capitale del mondo è il deserto di Giuda. Lontano dalle capitali e dagli imperi, da templi e da palazzi, la profezia è l'estasi di una storia che non basta a se stessa. Nel deserto, dove un uomo vale quanto vale il suo cuore, dove è senza maschere e senza paure, solo nel deserto la goccia di fuoco della profezia può dare il suo frutto. «La Parola fu su Giovanni». In cinque semplicissimi termini è racchiusa la mia e la tua vocazione. Chiamati ad essere profeti: metto il mio nome al posto di quello del profeta, e so che molte volte ormai la Parola è venuta sopra di me, e non mi ha trovato. Ma so che deve venire, verrà, perché di me non è stanca. Ha bisogno non di grandi profeti, ma di piccoli e quotidiani che, là dove vivono, incarnino un progetto senza inganno o violenza, facciano risuonare parole più profonde, orizzonti chiari, lealtà, coerenza, giustizia. E la misteriosa e mai revocata scelta di Dio: fare storia con chi non ha storia, scegliere la via della periferia, entrare nel mondo dal punto più basso, da dove l'uomo soffre. Ciascuno di noi può diventare voce di una Parola, di una sillaba di Dio. Ma prima deve essere raggiunto, afferrato, conquistato da Cristo. Per questo: «Preparate le vie del Signore», inventate vie attraverso le quali la Parola giunga fino al cuore; moltiplicate le strade della seduzione di Dio, date ogni giorno un po' di tempo e un po' di cuore alla lettura del Vangelo, lasciatevi affascinare. E poi, nel tuo eremo interiore, con perseveranza, rendi continuo come il respiro, normale come il pane, il dialogo del cielo.
L'Avvento è il tempo che prepara nascite, il tempo di santa Maria nell'attesa del parto, tempo delle donne: solo le donne in attesa sanno cosa significhi davvero attendere. Ma non si attende solo la nascita di Gesù.
Pilato e Gesù uno di fronte all'altro. Pilato è l'uomo del potere e della paura insieme, per paura consegnerà Gesù alla morte, contro il suo stesso parere. Gesù invece è l'uomo della libertà. Lo leggiamo nelle sue risposte così franche e nitide. Allora chi è più uomo Due volte Pilato domanda: Tu sei re? Gesù risponde che il suo Regno non è di quaggiù, e lo mostra attraverso due caratteristiche che si oppongono a violenza e inganno, la duplice logica di ogni potere, i due nomi del Nemico dell'uomo. I regni di quaggiù si combattono, il potere ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Gesù non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero.
Per noi che viviamo di solo presente, la liturgia apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre. Non per anticipare la data di un futuro, ma per insegnarci a vivere giorni aperti al futuro. Il Vangelo non parla della fine del mondo ma del senso della storia.
C'è un luogo nel tempio dove tutti passano, Gesù siede lì, davanti ai tredici piccoli forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote che controllava la validità delle monete e dichiarava a voce alta, per la folla, l'importo dell'offerta.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Che cosa c'è al centro della fede? Ciò che più di ogni cosa dona felicità all'uomo: amare. Non obbedire a regole né celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare.
Non ci stanchiamo mai di ascoltare le nove beatitudini, anche se le sappiamo bene, anche se certi di non capirle. Esse riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di non violenza, di sincerità, di solidarietà. Disegnano un modo tutto diverso di essere uomini, amici del genere umano e al tempo stesso amici di Dio, che amano il cielo e che custodiscono la terra, sedotti dall'eterno eppure innamorati di questo tempo difficile e confuso: sono i santi.
La guarigione di Bartimeo è l'ultimo miracolo del Vangelo di Marco. Ultimo e necessario è questo bellissimo racconto, così scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Un mendicante cieco, icona di ogni uomo, mendicante di luce e di strade, di orizzonti e di compassione. Cosa c'è di più perduto, di più inutile, di più naufrago dell'esistenza di un mendicante cieco e solo?
Vangelo dei paradossi perenni, della più sorprendente autodefinizione di Gesù: «venuto per servire». Tutto nasce dal fatto che Giovanni il teologo, l'aquila, il mistico, il discepolo amato, chiede di essere al primo posto: la ricerca del primo posto è una passione così forte che penetra e avvolge il cuore di tutti. Pericolosamente: «Non sapete quello che chiedete!». Non avete capito ancora a cosa andate incontro, quali argine rompete con questa domanda, che cosa scatenate con questa fame di potere.