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Con Cristo
misurate le cose
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Celebrato Domanica 8 febbraio il 340 anniversario dellla nascita al Cielo della Serva di Dio Anna Moroni che insieme al Servo di Dio P. Cosimo Berlinsani fondarono la Congregazione delle Suore Oblate del Bambino Gesù. Per questa occasione e per considerare queste due figure nel contesto dell’Anno della Vita Consacrata, che le Suore Oblate hanno promosso un Convegno prsso la sede della Curia Generalizia di Roma. Proponiamo di Seguito l’intervento di P. Davide Carbonaro Postulatore Generale OMD: “La Vita Consacrata moltiplicatrice della gioia”. Cercando Gesù incendiatevi” (Dalla Nutrice Spirituale).
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Intervento 340° Anna Moroni
Gesù e i suoi primi quattro discepoli, usciti dalla sinagoga, vanno a casa di due di loro, Pietro e Andrea. Come c’era una dimensione pubblica della vita di Gesù, così ce n’era anche una privata: la vita vissuta con i suoi discepoli, o con i suoi amici, la vita in casa, dove si parlava, ci si ascoltava, si mangiava insieme e ci si riposava. Anche queste sono dimensioni umane della vita di Gesù, alle quali purtroppo facilmente non prestiamo attenzione, eppure fanno parte della realtà, del mestiere del vivere quotidiano…Ora, entrati in casa di Pietro e Andrea, si accorgono che nessuno li accoglie: dovrebbe essere compito della suocera di Pietro – che dunque era sposato –, ma una febbre la tiene a letto. La febbre è un’indisposizione che accade sovente, e non è certo grave o preoccupante. Gesù, informato della cosa, si avvicina a questa donna allettata, la prende per mano e la fa alzare. Egli vuole incontrarla e, non appena le è vicino, compie gesti semplici, umanissimi, affettuosi: prende nella sua mano quella mano febbricitante, attua una relazione carica di affetto, e quindi con forza la aiuta ad alzarsi. Questi sono i gesti di Gesù che guariscono: non gesti di un guaritore di professione, non gesti medici, né tantomeno gesti magici. Se siamo attenti comprendiamo che, sull’esempio di Gesù, a un malato dobbiamo soltanto avvicinarci, renderci prossimi, toglierlo dal suo isolamento, prendendo la sua mano nella nostra, in un contatto fisico che gli dica la nostra presenza reale, e infine fare qualcosa perché l’altro si rialzi dal suo stato di prostrazione.Questa azione con cui Gesù libera la donna dalla febbre può sembrare poca cosa (“un miracolo sprecato”, ha scritto un esegeta!), ma la febbre è il segno più comune che ci mostra la nostra fragilità e ci preannuncia la morte di cui ogni malattia è indizio. Sì, Gesù è sempre all’opera verso i nostri corpi e le nostre vite e sempre discerne, anche dove c’è soltanto la febbre, che l’essere umano si ammala per morire, che qualunque malattia è una contraddizione alla vita piena voluta dal Signore per ciascuno di noi. Non fermiamoci dunque alla cronaca dell’azione di Gesù, ma comprendiamo come egli, il Veniente con il suo Regno, è in lotta contro il male e contro la morte il cui re è il demonio, colui che vuole la morte e non la vita. Gesù appare così come colui che fa rialzare, fa risuscitare – verbo egheíro, usato per la resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,41) e per la stessa resurrezione di Gesù (Mc 14,28; 16,6) – ogni uomo, ogni donna dalla situazione di male in cui giace. Egli vuole far entrare tutti nel regno di Dio, dove “non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento, né il dolore, quando Dio asciugherà le lacrime dai nostri occhi” (cf. Ap 21,4; Is 25,8).Ciò che è messo in rilievo come frutto di quel “far rialzare” da parte di Gesù è l’immediato servizio, la pronta diakonía da parte della suocera di Pietro. Rialzati dal male, a noi spetta il servizio verso gli altri, perché servire l’altro, avere cura dell’altro è vivere l’amore verso di lui: l’amore dell’altro è il volere e il realizzare il suo bene. Nel caso presente questa donna, ormai in piedi, offre da mangiare a Gesù e ai suoi discepoli, servendo chi l’ha servita fino a farla stare in piedi.Giunge la sera, la prima giornata missionaria di Gesù è quasi terminata, ma ecco che da tutta la città vengono portati malati e indemoniati davanti alla porta della casa in cui egli si trova. Cosa cercava tutta quella gente? Innanzitutto guarigione, ma certamente desiderava anche vedere miracoli: la medicina era troppo cara, spesso senza efficacia, e poi in quel tempo c’erano molti esorcisti, guaritori, maghi, da cui la gente si recava. Quelli venuti da Gesù non trovano però né un mago né un operatore di miracoli. Trovano uno che guarisce chi incontra, parlando, entrando in relazione, ma soprattutto suscitando fede-fiducia: e quando Gesù trova questa fiducia, allora può manifestarsi la vita più forte della morte. Gesù non guariva tutti ma – ci dicono i vangeli – curava tutti quelli che incontrava. Come annota solo Matteo a margine di questo brano, egli si manifesta come il Servo del Signore che “ha preso le nostre debolezze e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17; Is 53,4). Gesù combatte le malattie per far arretrare la potenza del male e del demonio, ma ciò avviene al prezzo di caricarsi lui stesso delle sofferenze che cerca di sconfiggere!Viene la notte, ma anche questa è fatta per operare: prima dell’alba Gesù esce di casa, va in un luogo solitario e là prega. È la sua preghiera del mattino, preghiera che attende il sorgere del sole invocando il Signore e lodandolo per la luce che vince la notte. Questa azione notturna non è secondaria, non è una semplice appendice al giorno. È la fonte del suo parlare e del suo agire, è l’inizio del suo “ritmo” giornaliero, è ciò che gli dà la postura per vivere tutta la giornata nella compagnia degli uomini: perché egli è sempre l’inviato di Dio, colui che deve sempre “raccontarlo” (cf. Gv 1,18) agli uomini, ovunque vada.
(Commento al Vangelo di Enzo Bianchi)
Nel mistero dell’incontro tra Dio e l’umanità “è piccola e povera come la candela che stringiamo tra le mani, la luce che i credenti sono chiamati a portare nel buio della notte”. Con queste parole il Parroco P. Davide Carbonaro ha salutato l’arcivescovo Guido Pozzo che ha presieduto nella Chiesa di Campitelli la festa della Presentazione al Tempio ed il Patrocinio della Madre di Dio sulla Città di Roma. La celebrazione è stata preceduta dall’omaggio floreale compiuto come da tradizione dall’Amministrazione comunale per ricordare il legame che la venerata icona di Santa Maria in Portico ha con la città di Roma e coloro che la governano. Un tempo singolare nel quale fare appello ancora una volta all’intercessione della Vergine Maria per questa Città che per sua vocazione è chiamata ad accogliere e guidare nella fede e nei valori umani che ritroviamo nel Vangelo. In tale prospettiva, l’arcivescovo Pozzo durante l’omelia, ha ricordato: “Che non si può trovare Gesù senza la Chiesa e senza la Madre di Dio che è Madre nostra”. La festa della luce ricorda a tutti i credenti - ha proseguito il presule- che la luce della fede non ci è stata data per rischiarare la nostra strada disinteressandoci degli altri”, per questo, “la fede cristiana non è un affare privato, essa non può essere intesa come semplice opinione: è Cristo la viva la verità e la vita, egli ha portato la luce di Dio, non una opinione di Dio sul mondo”. Infine, ha ricordato che: “L’atto di omaggio alla Vergine Maria cara alla devozione dei romani e dei pellegrini, non è un atto di cortesia, è atto di amore a colei che proprio perche è con Dio e in Dio, è vicinissima a tutti noi”.
4 febbraio 2015
Il due febbraio e il terzo anniversario della nostra presenza in Indosenia. Stamattina dopo aver celebrato da Messa con i confratelli. I postulanti, con la processione con le candele accese, si è recato a salutare il vescovo di Kunpang. Il pastore ci ha accolti con spirito di benevolenza per tutto l'Ordine e ci ha benedetti nel giorno in cui la Chiesa celebra il giorno della vita consacrata.
Dopo il racconto della vocazione dei primi quattro discepoli (cf. Mc 1,16-20), Marco sottolinea che Gesù non è più solo. Ormai c’è una piccola comunità alla sequela di questo rabbi venuto in Galilea dalle rive del Mar Morto in seguito all’arresto del suo maestro e profeta Giovanni il Battista, e questa piccola comunità crescerà e accompagnerà Gesù, coinvolta nella sua vita fino alla fine.L’evangelista ci presenta dunque una giornata-tipo vissuta da Gesù e dai suoi discepoli: la “giornata di Cafarnao” (cf. Mc 1,21-34), una città situata a nord del mare di Galilea, luogo di passaggio tra Palestina, Libano e Assiria, città con gente composita, scelta da Gesù come “residenza”, come luogo in cui egli e la sua comunità avevano una casa (cf. Mc 1,29.35, ecc.) dove sostavano di tanto in tanto, nelle pause dei loro itinerari in Galilea e in Giudea. Com’era vissuta da Gesù una giornata? Egli predicava e insegnava, incontrava delle persone liberandole dal male e curandole, pregava. Vi erano poi certamente un tempo e uno spazio per mangiare con i suoi, per stare con la sua comunità e per insegnare a essa come occorreva vivere per accogliere il regno di Dio veniente.Ecco allora che il vangelo ci narra questa giornata di Gesù. È un sabato, il giorno del Signore, in cui l’ebreo vive il comandamento di santificare il settimo giorno (cf. Es 20,8-11; Dt 5,12-15) e va alla sinagoga per il culto. Anche Gesù e i suoi discepoli si recano alla sinagoga di Cafarnao dove, dopo la lettura di un brano della Torà di Mosè (parashà) e di una pericope dei Profeti (haftarà), un uomo adulto poteva prendere la parola e commentare quanto era stato proclamato. Gesù è un semplice credente del popolo di Israele, è un laico, non un sacerdote, ed esercita questo diritto. Va all’ambone e fa un’omelia, di cui però Marco non ci dice il contenuto, a differenza di quanto fa Luca riguardo all’omelia tenuta da Gesù nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-21).Accade allora quello che qualche volta succede anche a noi: chi tiene l’omelia ha la capacità di tenerci svegli e in ascolto di lui, ha una parola che ci raggiunge nelle nostre profondità, accompagna le domande che ciascuno di noi sente emergere dal proprio cuore, fa intravedere una risposta vera. Insomma, Gesù mostra di avere un’“autorevolezza” (exousía) inedita, rara. La sua non è una parola come quella dei professionisti religiosi, dei molti scribi incaricati di studiare e spiegare le sante Scritture. Che cosa c’è di diverso nel suo predicare? Possiamo almeno dire che c’è una parola che viene dalle sue profondità, una parola che sembra nascere da un silenzio vissuto, una parola detta con convinzione e passione, una parola detta da uno che non solo crede a quello che dice, ma lo vive. È soprattutto la coerenza vissuta da Gesù tra pensare, dire e vivere a conferirgli questa autorevolezza che si impone ed è performativa. Attenzione: Gesù non è uno che seduce con la sua parola elegante, erudita, letterariamente cesellata, ricca di citazioni culturali; non appartiene alla schiera dei predicatori che seducono tutti senza mai convertire nessuno. Egli invece sa andare al cuore di ciascuno dei suoi ascoltatori, i quali sono spinti a pensare che il suo è “un insegnamento nuovo”, sapienziale e profetico insieme, che scuote, “ferisce”, convince.Lo sappiamo bene: tutti noi desideriamo un tale predicatore nelle nostre liturgie domenicali, ma a volte rimaniamo delusi. D’altronde chi predica nelle nostre assemblee non è il Figlio di Dio fattosi uomo, a volte e stanco e anche frustrato nella propria vocazione, a volte è talmente costretto a ripetere riti e parole che non gli sono più possibili né convinzione né passione. Eppure io credo che, anche in questa situazione di povertà, se uno ha il cuore aperto e desideroso di ascoltare la parola di Dio, qualche suo frammento lo raggiunge sempre…L’autorevolezza di Gesù si mostra subito dopo in un atto di liberazione. Nella sinagoga c’è un uomo tormentato da uno spirito impuro, un uomo in cui il demonio è all’opera. Non soffermiamo la nostra attenzione sulla violenza e sul frastuono con cui quest’uomo si esprime, secondo la descrizione tipica dello stile orientale, immaginifico. Andiamo alla sostanza: c’è un uomo in cui il demonio opera in modo particolare, in cui la forza che si oppone a quella di Dio ha preso un grande spazio; in questa persona c’è uno spirito impuro che si oppone allo Spirito santo di Dio. La presenza di Gesù nella sinagoga è una minaccia per questa forza demoniaca, ed ecco allora che la verità viene gridata: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”. Ma Gesù innanzitutto gli intima di tacere, poi libera l’uomo da quella presenza. Il segno della liberazione avvenuta è un grande urlo: “lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”.Si noti l’imposizione del silenzio da parte di Gesù: il grido dell’indemoniato è ortodosso, perché egli è il Santo di Dio, ma questa identità non può essere proclamata troppo facilmente. Lungo tutto il vangelo secondo Marco è testimoniata questa preoccupazione di Gesù circa la manifestazione della propria identità: non si deve divinizzare Gesù troppo velocemente, non si deve farlo perché incantati dai prodigi da lui compiuti, né si deve farlo perché ci si entusiasma di lui. Lo si potrà fare solo quando lo si vedrà appeso alla croce. Solo allora – attesta il vangelo – la confessione del lettore può essere vera, fatta con intelligenza e conoscenza profonde, insieme al centurione che, vedendo Gesù appeso al legno, proclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Il miglior commento è una parola di un monaco del XII secolo, Guigo I il Certosino: “Nuda e appesa alla croce deve essere adorata la verità”.
(Commento al Vangelo di Enzo Bianchi )
L’incontro di un religioso e di una donna innamorati di Cristo e del prossimo hanno dato vita nel cuore del XVII secolo all’istituzione delle Suore oblate del Bambino Gesù che ha sfidato i secoli ed è giunta nella sua freschezza carismatica fino ai nostri giorni. Si tratta delle figure dei Servi di Dio Cosimo Berlinsani sacerdote dei Chierici Regolari della Madre di Dio, parroco romano e fondatore insieme ad Anna Moroni della Congregazione delle Suore Oblate del Bambino Gesù. Scelsero di dedicarsi agli ultimo avendo negli occhi della mente il volto del Bambino di Betlem e l’uomo della croce che ben conosce il soffrire. Sabato 7 febbraio ore 16,00 presso la Sala Baldini in piazza Campitelli 9 sarà presentato il libro La Betlem degli ultimi nella Roma del Seicento. I Servi di Dio Anna Moroni e Cosimo Berlinsani fondatori delle Suore Oblate del Bambino Gesù, di Angelo Montonati Edizioni San Paolo. Interverranno la Prof. Bianco Maria Grazia Docente di Letteratura cristiana antica e greca presso la LUMSA ed il Prof. Silvonei r2t6qé Protz Giornalista Radio Vaticana. La presentazione avviene nei luoghi che videro lo svolgersi della trama storica e spirituale dei due Servi di Dio di cui è in corso il processo di canonizzazione ed in occasione dei 340 anni della nascita al cielo della Serva di Dio Anna Moroni. 28 gennaio 2015
Ognuno di noi, soprattutto se anziano ma non colpito da demenza senile, va sovente con i suoi ricordi al passato, in particolare a quello che è stato l’inizio, il cominciare di una vicenda, di un amore che lo ha segnato per tutta la vita. Anche il cristiano fa questa operazione di cercare nel passato, quasi per riviverla, l’ora della conversione; o meglio, per moltissimi l’ora della vocazione, quando si è diventati consapevoli con il cuore che forse ci era rivolto un monito, che forse il Signore voleva che fossimo coinvolti nella sua vita più di quanto lo eravamo stati fino ad allora. Noi la chiamiamo, appunto, ora della vocazione.La pagina del vangelo di questa domenica vuole essere proprio un racconto di vocazione in cui può specchiarsi chi predispone tutto per ascoltare la chiamata di Gesù, oppure può essere l’occasione per ricordarla come un evento del passato, che può avere ancora o non avere più forza, addirittura significato. Gesù torna in Galilea, la terra della sua infanzia, per iniziare a proclamare un messaggio che sentiva dentro di sé come una missione da parte di Dio Padre. Incomincia questa vita di predicazione e di itineranza dopo che Giovanni, il suo rabbi, il suo maestro, colui che lo ha educato nella vita conforme all’alleanza con Dio e lo ha anche immerso nelle acque del Giordano (cf. Mc 1,9), è stato messo in prigione da Erode. È la fine di chi è profeta, e Gesù subito se la trova davanti come necessitas umana: se egli continuerà sulla strada del suo maestro, prima o poi conoscerà la persecuzione e la morte violenta.Gesù inizia a proclamare la buona notizia, il Vangelo di Dio, nella consapevolezza che il tempo della preparazione, per Israele tempo dell’attesa dei profeti, che il tempo della pazienza di Dio ha raggiunto il suo compimento, come il tempo di una donna gravida. Alla fine della gravidanza c’è il parto, e così Gesù annuncia: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Ecco la sintesi della sua predicazione: c’è l’inizio di un tempo nuovo in cui è possibile far regnare Dio nella vita degli uomini; affinché questo avvenga occorre convertirsi, ritornare a Dio, e poi credere alla buona notizia che è la presenza e la parola di Gesù stesso. Sì, è solo un versetto che dice questa novità, eppure è l’inizio di un tempo che dura ancora oggi e qui: è possibile che Dio regni su di me, su di te, su di noi, e così avviene che il regno di Dio è venuto.Di fronte a questa gioiosa notizia, ma anche a questa nuova possibilità offerta dalla presenza di Gesù, ci siamo noi uomini e donne, che ancora oggi ascoltiamo il Vangelo. Che cosa facciamo? Come reagiamo? Stiamo forse vivendo quotidianamente, intenti al nostro lavoro, alla nostra occupazione quotidiana per guadagnarci da vivere, poco importa quale sia; oppure siamo in un momento di pausa; oppure siamo con altri a discorrere… Non c’è un’ora prestabilita: di colpo nel nostro cuore, senza che gli altri si accorgano di nulla, si accende una fiammella. “Chissà? Chissà se sento una voce? Riuscirò a rispondere ‘sì’? Sarà per me questa voce che mi chiama ad andare? Dove? A seguire chi? Gesù? E come faccio? Sarà possibile?”. Tante domande che si intersecano, che svaniscono e ritornano, ma se sono ascoltate con attenzione allora può darsi che in esse si ascolti una voce più profonda di noi stessi, una voce che vien da un aldilà di noi stessi, eppure attraverso noi stessi: la voce del Signore Gesù! È così che inizia un rapporto tra ciascuno di noi e lui, sì, lui, il Signore, presenza invisibile ma viva, presenza che non parla in modo sonoro ma attrae…Qui nel vangelo secondo Marco questo processo di vocazione è sintetizzato e per così dire stilizzato dall’autore, che narra solo l’essenziale: Gesù passa, vede e chiama; qualcuno ascolta e prende sul serio la sua parola “Seguimi!” e si coinvolge nella sua vita. È ciò che è vero per tutti ed è inutile dire di più: sarebbe solo un inseguire processi psicologici… Ma l’essenziale è stato detto, una volta per tutte: accolta la vocazione, si abbandonano le reti, cioè il mestiere, si abbandonano il padre e la barca, cioè l’impresa famigliare, e così ci si spoglia e si segue Gesù.Attenzione però: la vocazione è un’avventura piena di grandezza ma anche di miseria! Per comprenderlo, è sufficiente seguire nei vangeli la vicenda di questi primi quattro chiamati. Il primo, Pietro, sul quale Gesù aveva riposto molta fiducia, vivendo vicino a lui spesso non capisce nulla di lui (cf. Mc 8,32; Mt 16,22), al punto che Gesù è costretto a chiamarlo “Satana” (Mc 8,33; Mt 16,23); a volte è distante da Gesù fino a contraddirlo (cf. Gv 13,8); a volte lo abbandona per dormire (cf. Mc 14,37-41 e par.); e infine lo rinnega, dice di conoscere se stesso e di non avere mai conosciuto Gesù (cf. Mc 14,66-72 e par.; Gv 18,17.25-27). Andrea, Giacomo e Giovanni in molte situazioni non capiscono Gesù, lo fraintendono e non conoscono il suo cuore; i due figli di Zebedeo, in particolare, sono rimproverati aspramente da Gesù quando invocano un fuoco dal cielo per punire chi non li ha accolti (cf. Lc 9,54-55); e sempre essi, al Getsemani, dormono insieme a Pietro. Ma c’è di più, e Marco lo sottolinea in modo implacabile: coloro che qui, “abbandonato tutto seguirono Gesù”, nell’ora della passione, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50)…Povera sequela! Sì, la mia sequela, la tua sequela, caro lettore. Non abbiamo davvero molto di cui vantarci… Dobbiamo solo invocare da parte di Dio tanta misericordia e ringraziarlo perché, nonostante tutto, stiamo ancora dietro a Gesù e tentiamo ancora, giorno dopo giorno, di vivere con lui.
Mc 1,14-20
Commento al Vangelo di Enzo Bianchi
San Giovanni Leonardi ami di più l’India o in India ci sia più fede nel Signore? Ci chiediamo questo, perchė sentiamo da più parti che il nostro Fondatore ha fatto miracoli proprio in India. Il santo dei farmacisti qui in India, almeno nelle comunità dell’Ordine della Madre di Dio, ė assai venerato dai fedeli che ogni giorno si recano davanti alle sue relique con grande spirito di fiducia e dicono di essere stati esauditi grazie all’intercessione di san Giovanni Leonardi. Fatto sta che ci troviamo di fronte a una particolarissima Provvidenza di Dio verso i più poveri: gli ammalati. L’ultimo “miracolo” che ė stato testificato ė avvenuto nella nostra parrocchia di Azhickal che, proprio ieri sera ė stato presentato al P. Generale P. Francesco Petrillo. Il P. Generale ha conosciuto il “miracolato” e si ė fatto spiegare da lui cosa gli ė successo. Ma andiamo con ordine. Il soggetto si chiama Lourthaiya (nella foto con il P. Generale) e si era ammalato da sette anni da una particolarissima malattia alla pelle. Lui era un pescatore e da sette anni non poteva più fare il suo lavoro perchė il sole gli bruciava il volto e le mani e la saldesine del mare gli procuravano gravi ferite. Nemmeno di giorno poteva andare nel suo villaggio perchė il sole gli dava dolore. Aveva avuto sei dottori e un gran numero di medicine e speso una grande quantità di denaro. Ma alla fine tutto era stato vano. Verso la fine di novembre 2014 doveva andare a Chennai (Madras) per vedere un dottore esperto nella sua malattia. Prima di mettersi in viaggio, sua moglie che frequenta la parrocchia, gli ha detto: vai da san Giovanni Leonardi, ė patrono dei farmacisti, chiedi a lui di guarirti. Lui ci andȯ e pregandolo mise le sue due mani sul reliquiario. In quel momento lui ha sentito come fosse un fremito che dalla reliqua del santo passasse al suo corpo. Le sue mani tremavano in quel incontro di preghiera. Il giorno dopo accadde qualcosa di straordinario. Le sue braccia era guarite; non si prendeva dall’ansia di strofinarsi per il bruciore; poteva andare anche al sole e, ciȯ che più l’importava, era la possibilità di andare al mare e fare il pescatore. Da quel giorno non ha preso medicine e mai più ė andato da un medico. Ogni giorno perȯ, alle sette di sera, viene a ringraziare il suo medico e farmacista del cielo: san Giovanni Leonardi.
Proponiamo l’intervista alla televisione maltese del M° Vincenzo Di Betta che porterà a Malta nel 2016 in occasione del Festival Barocco, l’esecuzione del Requiem di Bonaventura Rubino (XVII sec.) le cui partiture musicali sono conservate nell’Archivio della cattedrale di Medina a Malta. La recente esecuzione e registrazione per la prima volta in Italia nel 2014, ha suscitato grande interesse presso le sedi religiose e culturali maltesi. 21 gennaio 2015
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“Let’s ought stay together, Loving you whether,
whether Things are good or bad, happy or sad Come let us stay together in the growth of brothers” Yes, It was a moment of staying together with parents of the brother’s in Amalagam community 11th January. This year joyous diversion was very special because of the presence of Most .Rev. Fr.Francesco Petrillo, the Rector General, OMD. As planned, this day was imparted only for the purpose of letting parents to know how their sons are in seminary. So, the day started with meeting the parents personally. Fr.Ceril met all the parents. Then there was a meeting arranged exclusively between Fr.General, Fr. Delegate and parents. After the meeting, we had holy mass presided by Rev.Fr.Lourdu, delegate general, India. With the evening the extravaganza started. The first part contained games to the parents. The second part provided spectacular programs Witnessed and appreciated by fathers, brothers and parents. The one day meeting ended with good fellowship meal. To conclude, really it was a day of joy and collaboration.