Nella sera del Venerdì Santo si è svolta la solenne celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Padre Rafael Pereira Barbato, Consigliere e Segretario Generale dell’Ordine della Madre di Dio. È stato un momento intenso di preghiera, silenzio e riflessione, che ha condotto i fedeli al cuore del mistero pasquale: la morte di Cristo sulla croce per la salvezza del mondo.
Durante la liturgia, particolarmente toccante è stato il canto dello Stabat Mater, che ha concluso l’adorazione della croce, aiutando l’assemblea a meditare sul dolore della Vergine Maria ai piedi del Figlio crocifisso.
Nell’omelia, Padre Rafael ha proposto una riflessione profonda sul senso della felicità e del dolore, offrendo parole che hanno toccato la sensibilità dei presenti.
«Tutti noi vogliamo essere felici – ha detto – e in fondo a tutto quel che facciamo c'è sempre questo intento». Anche quando cadiamo nel peccato, spesso è perché siamo convinti, seppur ingannati, che ci porterà felicità. Ma, ha spiegato, «magari ingannati pensiamo che la felicità sia solo quello che fa piacere, che è gradevole». Invece la vera felicità si trova nella pienezza della vita, e uno degli atteggiamenti che ci aiutano a raggiungerla è la gratitudine.
Padre Rafael ha affrontato con delicatezza il tema della sofferenza. Ha sottolineato che non si tratta di essere grati per il male in sé – «non possiamo dire che è bella la guerra o la violenza» – ma per le possibilità che ogni esperienza porta con sé. Alcune sofferenze, infatti, possono generare doni come la pazienza, il perdono o la solidarietà. «Non è la sofferenza in sé che devo ringraziare, ma il dono, la possibilità che essa consegna alla mia vita».
Ha poi ricordato che la Pasqua cristiana non cancella la croce, ma la trasfigura. «Ringrazieremo Dio per la passione di Cristo. Questo potrebbe sembrare terribile, ma diremo con forza: felice colpa, che meritò un così grande Redentore». Proprio nella croce – ha detto – sta il grande gesto d’amore che ci ha aperto le porte alla salvezza. Un Dio che ha preso su di sé il peso della sofferenza umana.
La celebrazione si è conclusa in un profondo silenzio, lasciando nell’assemblea il desiderio di custodire nel cuore il mistero contemplato. Le parole dell’omelia sono rimaste come una preghiera: «Nella gratitudine di questo amore possiamo vivere anche le sofferenze». Un invito a lasciarsi trasformare dalla croce, scoprendo che anche nel dolore può germogliare un dono.
Così, nell’attesa della luce pasquale, i fedeli sono tornati alle loro case con lo sguardo rivolto a quella speranza che nasce dal silenzio del Venerdì Santo: una speranza che non delude.