Il cammino degli esercizi spirituali, in questo quarto giorno, ci porta a sostare sul tatto, il senso che ci mette in contatto diretto con la realtà, con gli altri e con Dio stesso. Pelle e mani diventano luogo di memoria e di relazione: nella carne del Risorto siamo chiamati a riconoscere l’amore che salva e a lasciarci trasformare dal suo tocco di vita.
“Toccatemi!” Le mani e i piedi del Risorto
Don Antonio Parrillo ha introdotto la meditazione del mattino ricordando che il tatto è forse il senso a cui pensiamo meno, ma in realtà è il più esteso e fondamentale: “la pelle è come una tela su cui rimangono impresse e si registrano tutte le esperienze sensoriali avute o mancate”. Già nel grembo materno, ha sottolineato, il bambino vive di contatto, carezze e abbracci: siamo fin dall’inizio creature che hanno bisogno di essere toccate da chi ci ama.
Il Risorto stesso sembra privilegiare questo linguaggio corporeo. Non è un fantasma, ma un uomo vero, vivo, che invita i discepoli: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate” (Lc 24,39). Con la sua carne gloriosa, Cristo porta al Padre la nostra umanità.
Il predicatore ha invitato a ripercorrere la storia personale scritta sulla propria pelle: abbracci, carezze, sfioramenti dati e ricevuti, mancati o desiderati, senza vergogna ma con sincerità. Anche la sessualità, ha detto, appartiene a questa storia, e non può essere rimossa o ridotta a tabù.
La castità, in questa prospettiva, non è solo rinuncia ma “un dono consapevole da offrire: rendere la mia pelle e il mio corpo sempre più strumento di un amore più grande, oblativo, inclusivo”. È un’arte che si impara nel tempo, con disciplina e lotta interiore, integrando il corpo nella vita spirituale. Non mancano gesti concreti che ne sono espressione: le mani raccolte in preghiera, le ginocchia piegate, l’abbraccio della pace, il corpo che vibra nella liturgia.
“Quel suo invito a toccarlo potrebbe assumere questo senso stamattina nella preghiera – ha concluso –: tutto ciò che è senso, corpo, esiste davanti a me e in me, dice il Risorto! Non abbiate paura di toccare la carne viva dei viventi: è materia divina!”
Il dito e la mano di Tommaso nelle ferite del Risorto
Nel pomeriggio, la riflessione si è soffermata sulla figura di Tommaso, il gemello di ciascuno di noi, impastati di coraggio e paura, di dubbi e desiderio di verità. Egli diventa icona della fede che cerca segni concreti: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò” (Gv 20,25).
L’incontro con il Risorto lo riporta alla comunità: “Gesù venne, stette in mezzo e disse: Pace a voi!”. È nello stare insieme, nell’accettare la relazione e nel riconoscere le proprie ferite, che diventa possibile credere e toccare con mano la presenza viva del Signore.
Il predicatore ha ricordato che il Risorto non nasconde le sue piaghe, ma le mostra come segno di amore, non di rimprovero: “Vedi quanto e fin dove ti ho amato!”. E ha invitato a contemplare anche oggi il corpo di Cristo nelle sue molteplici presenze: nel Pane eucaristico, nei fratelli e sorelle feriti, nei volti martoriati dell’umanità.
“Mi fermo davanti alle ferite dei miei fratelli – ha detto –: come le guardo? Con pietismo? Con giudizio? O con compassione? La fede non ci esenta dalle piaghe, ma ci chiama a diventare guaritori feriti, capaci di riconoscere nelle cicatrici dell’altro la memoria dell’amore di Cristo.”
Dal tatto alla vita
Il IV giorno ci ha mostrato che la fede passa anche attraverso le mani, la pelle, il corpo. Il Risorto ci invita a toccare le sue ferite e a non temere la nostra carne: in Lui essa è già redenta e portata alla gloria del Padre. Come Tommaso, anche noi siamo chiamati a credere restando nella comunità, a toccare i segni del suo amore e a trasformarci in strumenti di cura e compassione.
Nella preghiera personale possiamo ripercorrere i gesti di contatto e di amore ricevuti e donati, lasciando che il nostro corpo diventi sacramento di grazia, presenza viva di Cristo che continua ad amare il mondo attraverso di noi.


