Cookie Consent by Popupsmart Website

stemma e nome

Visualizza articoli per tag: esercizio omd

Con la domenica si è concluso il percorso degli Esercizi Leonardini a Santa Maria in Portico in Campitelli, guidati da Don Antonio Parrillo. Dopo aver esplorato i cinque sensi come vie di incontro con il Risorto, l’ultimo giorno ha invitato i partecipanti a soffermarsi sull’olfatto, senso capace di evocare memorie, emozioni e la presenza di Dio. La meditazione mattutina, conclusa con la Celebrazione Eucaristica, ha offerto l’occasione di raccogliere e riconoscere i frutti spirituali della settimana.

 

L’olfatto: soffio e profumo del Risorto

Il naso, posto al centro del volto, ci apre alla realtà invisibile degli odori e dei profumi. L’olfatto richiama quanto la vita e la memoria siano intessute di sensazioni sottili: il pane appena sfornato, l’acqua di colonia, il fieno, il nardo e la mirra. Questi odori risvegliano emozioni sopite e aprono la memoria alla gratitudine.

Nella Scrittura, il profumo accompagna il culto, i sacrifici graditi a Dio e i gesti d’amore: Marta e Maria a Betania, i lini e gli unguenti per Gesù, la cura per il corpo del Signore, fino al soffio dello Spirito che dona la vita. Nel Cenacolo, il Risorto entra in una stanza chiusa, portando vita, pace e perdono con il suo soffio: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,22-23).

Il soffio, profumo e Spirito, non è un potere da esercitare, ma un dono da diffondere, così come l’unguento di Maria sui piedi di Gesù diventa esperienza tangibile di amore, perdono e consolazione.

 

Celebrazione Eucaristica e segni sacramentali

La meditazione si è conclusa con la Celebrazione Eucaristica, che ha unito tutti i sensi in un incontro profondo con il Risorto: gli occhi contemplano il pane e il vino, le orecchie ascoltano la Parola, le mani si aprono all’offerta, la bocca riceve il Corpo del Signore e il cuore sente la gioia della comunione.

Un momento particolarmente toccante è stato il segno dell’unzione: con olio di nardo, i partecipanti sono stati unti sulla fronte e sulle mani, simbolo di sacralità e mandato missionario. Come ha detto Don Antonio, nell’omelia: “L’unzione che riceviamo non è un privilegio privato, ma una consegna: fronte e mani profumate perché pensiero e azione diventino segni del Risorto nella vita degli altri.”

Il predicatore ha sottolineato che il cristiano non trattiene per sé la grazia ricevuta, ma la diffonde nella vita quotidiana, trasformando gesti, parole e relazioni in esperienza concreta di bene. Ha aggiunto: “Il profumo del Risorto non si conserva in un flacone chiuso: si diffonde, si lascia respirare, entra nelle pieghe della vita quotidiana.”

Così ogni persona diventa canale di grazia, lasciando che la propria vita profumi di Vangelo e tocchi chi le sta accanto. Siamo chiamati a essere come un “vasetto d’alabastro” pronto a spezzarsi, affinché l’amore, il perdono e la cura possano diffondersi nella vita di chi incontriamo.

 

Verso un cammino che continua

L’olfatto, come gli altri sensi, diventa memoria viva di un cammino spirituale che educa a riconoscere e diffondere la presenza del Risorto. Ogni gesto, parola e respiro di amore diventa seme di comunione, profumo che ispira gli altri e lascia segni di vita autentica.

Gli Esercizi Leonardini si concludono qui, ma ciò che è stato vissuto invita a portare nella quotidianità tutti i profumi, i gesti e le emozioni dell’incontro con Cristo. Il Padre Generale ha espresso gratitudine al predicatore, consegnandogli un’immagine di Santa Maria in Portico come simbolo della comunità e del cammino intrapreso.

Pubblicato in 2025

In questo penultimo giorno degli Esercizi Leonardini, guidati da don Antonio Parrillo a Santa Maria in Portico in Campitelli, ci concentriamo sul senso del gusto. Dopo aver camminato insieme attraverso gli altri sensi, oggi la preghiera e la meditazione ci invitano a percepire la presenza del Risorto in modo concreto e vitale, assaporando la comunione, la Parola e la vita pasquale che ci nutre ogni giorno.

 

Il Gusto

La bocca è protagonista nella Scrittura: i salmi parlano della Parola come di qualcosa “più dolce del miele e di un favo stillante” (Sal 19,11) e il Salmo 34 invita: “Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia”.

Dalla suzione al seno materno fino al primo contatto con il cibo, ogni gesto alimentare porta con sé vita e cura. Nella preghiera possiamo chiederci quanto il nostro rapporto con Cristo sia entrato in questa dinamica vitale che nutre nel profondo.

 

Pesce arrostito e pesce appena pescato

L’apparizione sul lago di Tiberiade non è solo la conferma della Risurrezione: è un pasto di comunione e condivisione. La pesca infruttuosa diventa abbondanza grazie all’ascolto e alla fiducia dei discepoli.

La rete piena diventa metafora della comunione: un tessuto che resiste, capace di tenere insieme. Nella preghiera possiamo chiederci: sono affamato di comunione? La mia lingua e le mie parole costruiscono unità o divisione?

 

La tovaglia di Pietro

Proseguiamo con gli Atti e ci sediamo a tavola con Pietro. La visione della tovaglia piena di ogni animale mostra che Dio vuole offrire all’uomo tutta la creazione senza preferenze. Pietro deve imparare ad aprirsi alla novità e a riconoscere che il Regno di Dio supera divisioni culturali, religiose e personali: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone” (At 10,34).

Nella preghiera possiamo riflettere: come reagisco di fronte al nuovo e al diverso? Sono disponibile ad accogliere le novità dello Spirito, a gustare e armonizzare ciò che prima mi sembrava estraneo o lontano?

 

Armonia e comunione

Il gusto della Risurrezione ci invita a percepire Cristo come nutrimento per l’anima e per il corpo. Assaporare Cristo significa collaborare con Lui, trasformare parole e gesti in strumenti di unità e accogliere le diversità come opportunità di crescita e relazione.

 

Un sapore da condividere

La giornata di oggi ci ha portato a riflettere sul senso del gusto come esperienza di comunione, ascolto e apertura. Gustare Cristo significa accogliere la sua presenza nella vita quotidiana, riconoscere il valore del pasto condiviso e saper armonizzare differenze e novità come Pietro nella sua visione della tovaglia.

Nella preghiera, possiamo chiederci: so assaporare ciò che la vita e lo Spirito mi offrono? Riesco a nutrire la mia comunione con Dio e con gli altri, senza chiudermi nelle mie rigidità o preferenze? Oso lasciarmi sorprendere dal nuovo e dall’inaspettato, e portare a tavola il mio cuore aperto e disponibile?

Il gusto, così come la fede, è esperienza viva e condivisa: ci invita a entrare nella realtà del Regno di Dio con occhi, mani e bocca aperti, pronti a riconoscere e offrire il dono della vita in pienezza.

Pubblicato in 2025

Il cammino degli esercizi spirituali, in questo quarto giorno, ci porta a sostare sul tatto, il senso che ci mette in contatto diretto con la realtà, con gli altri e con Dio stesso. Pelle e mani diventano luogo di memoria e di relazione: nella carne del Risorto siamo chiamati a riconoscere l’amore che salva e a lasciarci trasformare dal suo tocco di vita.

 

“Toccatemi!” Le mani e i piedi del Risorto 

Don Antonio Parrillo ha introdotto la meditazione del mattino ricordando che il tatto è forse il senso a cui pensiamo meno, ma in realtà è il più esteso e fondamentale: “la pelle è come una tela su cui rimangono impresse e si registrano tutte le esperienze sensoriali avute o mancate”. Già nel grembo materno, ha sottolineato, il bambino vive di contatto, carezze e abbracci: siamo fin dall’inizio creature che hanno bisogno di essere toccate da chi ci ama.

Il Risorto stesso sembra privilegiare questo linguaggio corporeo. Non è un fantasma, ma un uomo vero, vivo, che invita i discepoli: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate” (Lc 24,39). Con la sua carne gloriosa, Cristo porta al Padre la nostra umanità.

Il predicatore ha invitato a ripercorrere la storia personale scritta sulla propria pelle: abbracci, carezze, sfioramenti dati e ricevuti, mancati o desiderati, senza vergogna ma con sincerità. Anche la sessualità, ha detto, appartiene a questa storia, e non può essere rimossa o ridotta a tabù.

La castità, in questa prospettiva, non è solo rinuncia ma “un dono consapevole da offrire: rendere la mia pelle e il mio corpo sempre più strumento di un amore più grande, oblativo, inclusivo”. È un’arte che si impara nel tempo, con disciplina e lotta interiore, integrando il corpo nella vita spirituale. Non mancano gesti concreti che ne sono espressione: le mani raccolte in preghiera, le ginocchia piegate, l’abbraccio della pace, il corpo che vibra nella liturgia.

“Quel suo invito a toccarlo potrebbe assumere questo senso stamattina nella preghiera – ha concluso –: tutto ciò che è senso, corpo, esiste davanti a me e in me, dice il Risorto! Non abbiate paura di toccare la carne viva dei viventi: è materia divina!”

 

Il dito e la mano di Tommaso nelle ferite del Risorto

Nel pomeriggio, la riflessione si è soffermata sulla figura di Tommaso, il gemello di ciascuno di noi, impastati di coraggio e paura, di dubbi e desiderio di verità. Egli diventa icona della fede che cerca segni concreti: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò” (Gv 20,25).

L’incontro con il Risorto lo riporta alla comunità: “Gesù venne, stette in mezzo e disse: Pace a voi!”. È nello stare insieme, nell’accettare la relazione e nel riconoscere le proprie ferite, che diventa possibile credere e toccare con mano la presenza viva del Signore.

Il predicatore ha ricordato che il Risorto non nasconde le sue piaghe, ma le mostra come segno di amore, non di rimprovero: “Vedi quanto e fin dove ti ho amato!”. E ha invitato a contemplare anche oggi il corpo di Cristo nelle sue molteplici presenze: nel Pane eucaristico, nei fratelli e sorelle feriti, nei volti martoriati dell’umanità.

“Mi fermo davanti alle ferite dei miei fratelli – ha detto –: come le guardo? Con pietismo? Con giudizio? O con compassione? La fede non ci esenta dalle piaghe, ma ci chiama a diventare guaritori feriti, capaci di riconoscere nelle cicatrici dell’altro la memoria dell’amore di Cristo.”

 

Dal tatto alla vita

Il IV giorno ci ha mostrato che la fede passa anche attraverso le mani, la pelle, il corpo. Il Risorto ci invita a toccare le sue ferite e a non temere la nostra carne: in Lui essa è già redenta e portata alla gloria del Padre. Come Tommaso, anche noi siamo chiamati a credere restando nella comunità, a toccare i segni del suo amore e a trasformarci in strumenti di cura e compassione.

Nella preghiera personale possiamo ripercorrere i gesti di contatto e di amore ricevuti e donati, lasciando che il nostro corpo diventi sacramento di grazia, presenza viva di Cristo che continua ad amare il mondo attraverso di noi.

Pubblicato in 2025

Il terzo giorno degli Esercizi Spirituali predicati da don Antonio Parrillo nella Curia Generalizia dell’Ordine della Madre di Dio ha avuto come filo conduttore l’udito. Dall’ascolto profondo di Maria di Magdala al dialogo intimo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade, le meditazioni hanno invitato i partecipanti a riscoprire il dono dell’udito interiore, capace di cogliere la voce che chiama nel silenzio.

 

Il silenzio che ascolta: Maria di Magdala al sepolcro

La meditazione mattutina ha portato i presenti dentro l’ascolto profondo di Maria di Magdala. Mentre gli altri discepoli si allontanano, Maria rimane presso il sepolcro, in un silenzio che diventa spazio di ascolto. Don Antonio ha sottolineato come l’ascolto vero richieda una disponibilità interiore, un silenzio che non è assenza, ma apertura al mistero che si rivela.

 «Gli occhi spesso possono ingannare, ma l’orecchio del cuore no: è lì che possiamo cogliere la voce che ci chiama per nome e ci fa riconoscere il Signore».

Questa apertura all’ascolto è anche un invito a riconoscere la propria vulnerabilità, a lasciarsi raggiungere dalla grazia che guarisce e illumina.

 

Il dialogo che trasforma: Gesù e Pietro al lago di Tiberiade

Nel pomeriggio, la meditazione si è spostata al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni, sul dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade. Don Antonio ha evidenziato come questo incontro rappresenti una seconda chiamata per Pietro, che, dopo il rinnegamento, è chiamato nuovamente a seguirlo.

 «Era davvero necessario che le sue orecchie e il suo cuore fossero trafitte in questo ultimo dialogo col Maestro – rimase addolorato, ci riporta il vangelo, che per la terza volta Gesù gli chiedesse se lo amava – che diventa la seconda e più autentica chiamata, soprattutto per lui che ora sarà passato attraverso il fallimento delle sue velleità da primato auto-concesso!».

Questo dialogo diventa anche un invito a ciascuno a riconoscere i propri fallimenti e a sperimentare la misericordia che rigenera.

 

L’obbedienza che apre nuovi orizzonti

Infine, il legame con l’obbedienza, che in latino è ob-audire, ascoltare verso, prestare ascolto. Gesù preannuncia a Pietro una vita di sequela che lo porterà “dove non vuoi”:

 «Obbedire è scoprire orizzonti che non avevi mai immaginato, aprirsi ad un sogno più grande dei tuoi piccoli sogni, perché ognuno di noi si fabbrica sogni su misura, piccoli spesso; l’obbedienza spalanca a sogni più grandi, ad esplorazioni di noi stessi e della realtà che non avremmo mai immaginato!».

L’intera giornata è stata dunque un itinerario sull’udito: al mattino, la tenerezza di un nome pronunciato con amore che apre gli occhi di Maria; al pomeriggio, la profondità dolorosa ma liberante del dialogo di Pietro. Due esperienze diverse ma complementari, che mostrano come l’ascolto vero sia sempre un lasciarsi ferire, trasformare e rigenerare dalla voce del Signore.

Pubblicato in 2025

Il secondo giorno degli Esercizi Spirituali predicati da don Antonio Parrillo nella Curia Generalizia dell’Ordine della Madre di Dio ha avuto come filo conduttore la vista. Dallo sguardo affannato dei discepoli al sepolcro, al pomeriggio trascorso accanto ai due viandanti di Emmaus, le meditazioni hanno invitato i partecipanti a riscoprire il dono degli occhi interiori, capaci di andare oltre l’apparenza e riconoscere la presenza del Risorto.

 

La corsa in penombra: occhi affannati al sepolcro

La meditazione mattutina ha portato i presenti dentro gli occhi di Maria di Magdala, di Pietro e del discepolo amato. Ognuno con il proprio sguardo, colto nella corsa verso il sepolcro, ci rappresenta nelle nostre ricerche e nei nostri vuoti.

Don Antonio ha ricordato che “gli occhi come finestre dell’anima ci permettono di affacciarci sul mondo esterno e permettono al mondo esterno di entrare in noi attraverso immagini, forme, proporzioni, colori…”.

Maria corre nella penombra: immagine della nostra corsa quotidiana, tra rischi e inciampi. Giovanni arriva per primo, ma si ferma sulla soglia, mentre Pietro entra e osserva i segni senza ancora comprenderne il senso. Solo Giovanni, vedendo, riesce a credere. Ma anche per loro rimane un vuoto da decifrare, un senso ancora non pienamente colto.

La meditazione si è trasformata in un invito personale: “Guardando alla mia vita, soprattutto ai momenti di vuoto, al non senso, a ciò che non capisco, come reagisco? Come mi pongo?”.

 

Sulla soglia del vuoto: vedere e credere

Giovanni “vide e credette”, ma l’evangelista aggiunge subito che ancora non avevano compreso la Scrittura. Anche noi, come loro, ci troviamo spesso davanti a un vuoto che non sappiamo spiegare.

Don Antonio ha incoraggiato a non temere queste domande, perché “nessuna domanda o vuoto che mi abita non ha senso di essere posta e tutto, ma proprio tutto, può essere affrontato e quantomeno offerto a Lui”.

È proprio in quel vuoto che diventa possibile lasciarsi guarire: “Lascia che il silenzio… sia nella preghiera come un aprire ancor più gli occhi e accogliere il collirio della grazia che guarisce il tuo sguardo a vedere dentro e oltre”.

 

Occhi impediti ad Emmaus: lo sguardo che si lascia aprire

Nel pomeriggio, lo sguardo si è spostato su Cleopa e il suo compagno di viaggio. I loro occhi, resi ciechi dalla tristezza, non riescono a riconoscere Gesù che cammina al loro fianco.

Don Antonio ha sottolineato come la visione non sia mai solitaria: “Per vedere bene, in pienezza, non bastano due occhi, ce ne vogliono almeno altri due, quelli dell’altro, chiunque egli sia, qualsiasi nome egli abbia…”.

Il dialogo e la relazione ci aiutano a guardare oltre noi stessi, ma non sempre sono sufficienti: anche i due di Emmaus rimangono chiusi nel loro dolore. Solo la Parola e il gesto del pane spezzato aprono i loro occhi al riconoscimento del Risorto.

 

Quando arde il cuore e si aprono gli occhi

La meditazione ha proposto un esercizio concreto: riconoscere le mediazioni attraverso cui il Signore continua a purificare lo sguardo – sacramenti, liturgia, comunità, relazioni quotidiane – e sostare laddove il cuore arde di più.

“Promemoria: scegli qualcosa, non avere l’ansia di dovere fare tutto… fermati dove più arde il tuo cuore e lì rimani a osservare, vedere, guardare”, ha suggerito don Antonio.

Così, dal sepolcro vuoto al pane spezzato, il secondo giorno degli Esercizi ci ha insegnato che lo sguardo umano, pur affaticato e limitato, può aprirsi grazie al collirio della grazia: un dono del Risorto che ci permette di vedere dentro e oltre, fino a riconoscere la vita nuova che nasce in mezzo a noi.

Pubblicato in 2025
Etichettato sotto
Venerdì, 06 Luglio 2012 16:45

Lariano Esercizi Spirituali OMD

eserciziCelebrati a Lariano dal 25 al 30 giugno gli esercizi spirituali dell’ordine a guidarli don Giuseppe Sovernigo sacerdote della diocesi di Treviso sul tema “Riconciliati per riconciliare”. Tale esperienza richiede l’incontro con Dio con se stessi e con gli altri ed avviare un autentico cambiamento. “Stiamo vivendo in un periodo di forte conflittualità a tutti i livelli,- ha affermato- e credo che vivere riconciliati sia una delle aspirazioni più profonde delle persone, perché va a beneficio della gioia e della pienezza di vita che ciascuno cerca, soprattutto dopo aver sperimentato l’ostilità, la lotta, il risentimento, la rottura di una relazione. Non è un’operazione facile, perché incontriamo numerosi ostacoli dentro e fuori di noi o del nostro gruppo. Bisogna allora mettersi nella strada della formazione permanente, umana e spirituale, ed esercitarsi continuamente per scoprire quali siano le fratture che bloccano la riconciliazione, che cosa la faciliti o la ostacoli, quali passi bisogna muovere per favorirla concretamente”. Il corso degli esercizi conclude l’itinerario voluto dal 110 Capitolo Generale che ha chiesto di puntare in questi anni sui temi della Riconciliazione come terapia umana e spirituale.
 
Pubblicato in 2012
© 2025 Ordine della Madre di Dio. All Rights Reserved. Powered by VICIS