Il brano evangelico di questa domenica ci testimonia un attacco molto duro di Gesù verso gli scribi e i farisei, diventati nel mondo cristiano figure tipologiche, che incarnano perfidia, ipocrisia, orgoglio. Attenzione però, perché qui si richiede da parte nostra un esercizio ermeneutico sapiente, che sappia anche essere “giusto”.
Gli scribi erano gli esperti delle sante Scritture, uomini che fin dall’infanzia si dedicavano alla lettura e allo studio della tradizione di Israele; giunti poi all’età matura, diventavano persone autorevoli, rabbini, “maestri”, dotati di poteri giuridici nelle diverse istituzioni giudaiche. I farisei – l’abbiamo sottolineato altre volte – erano invece un “movimento ecclesiale”, un gruppo che con zelo cercava di vivere la Legge di Mosè e la precettistica elaborata dai padri rabbinici. Erano semplici fedeli, appartenenti al popolo, e rappresentavano una componente forte, molto presente e anche missionaria all’interno di Israele. Certamente gli scribi e anche alcuni farisei furono avversari di Gesù, ma la polemica di Gesù, riattualizzata dagli evangelisti in un contesto di aspro confronto e di persecuzione dei cristiani, ritenuti dai farisei una setta eterodossa, riguardava soprattutto la loro postura di “persone religiose”. Nel riprendere questa polemica gli evangelisti intendevano inoltre denunciare quelli che nella chiesa cristiana avevano ormai assunto lo stesso stile. Si faccia dunque attenzione a non finire per leggere i vangeli in modo antigiudaico: non tutti gli scribi erano arroganti, non tutti i farisei erano ipocriti, anzi a volte i vangeli testimoniano di scribi vicini al regno di Dio (cf. Mc 12,34) e di farisei retti e giusti che sono stati ben disposti verso Gesù (cf. Lc 13,31).
Sì, c’è stato un conflitto aspro, ma Gesù oggi potrebbe rivolgere gli stessi duri avvertimenti a tanti ecclesiastici… Basta leggere con attenzione le parole rivolte da Gesù alla folla, che si potrebbero così parafrasare e attualizzare: “Diffidate degli scribi, degli esperti di Bibbia e di teologia! Quando escono, appaiono con vesti lunghe, filettate, addirittura colorate, indossano abiti sgargianti, si ornano di catene, di croci gemmate e preziose, cercano i volti di chi passa per essere salutati e riveriti, senza discernere le persone nel loro bisogno e nella loro sofferenza: volti che non sono guardati, ma chiamati a guardare! Nelle assemblee liturgiche hanno posti eminenti, cattedre e troni simili a quelli dei faraoni e dei re, e sono sempre invitati ai banchetti di potenti”. Davvero queste invettive di Gesù sono più che mai attuali: sono parole che dovrebbero farci arrossire e spingerci a interrogarci nel cuore su dove siamo finiti…
Quando si adotta questa postura di arroganza, si assume inevitabilmente uno stile che chiede ammirazione, che desidera adepti, che esige applausi da parte di persone devote. Per mantenere un tale atteggiamento occorre poi avere molto denaro, e così si finisce per divorare le case delle vedove ed esigere soldi proprio da parte dei più poveri, soldi derubati! È stato così ed è ancora così qua e là nella chiesa, e ognuno di noi in cuor suo conosce in quali modi, magari diversi da quelli stigmatizzati da Gesù, è tentato di apparire, di mostrarsi, di ricevere riconoscimenti e applausi anche nella vita ecclesiale! Non possiamo qui non rendere testimonianza a papa Francesco per i suoi richiami e i suoi sforzi in vista di una chiesa povera, nella quale “i primi”, quelli che governano o presiedano, non ricadano nei vizi degli uomini religiosi, che chiedono agli altri di dare gloria a Dio dando gloria proprio a loro, che si pensano suoi rappresentanti…
Gesù fa questi discorsi nel tempio, di fronte alla sala del tesoro, dove i fedeli, i pellegrini saliti a Gerusalemme, mettono le loro monete in “cassette per le offerte”. Come sempre, Gesù osserva, vede, comprende e discerne: sa cosa accade accanto a sé, è vigilante e trae dalla concreta realtà lezioni di vita. Qui che cosa vede? Nota che ci sono alcuni che mettono grandi somme di denaro: sono i ricchi, quelli che senza grande fatica e senza privarsi di qualcosa di essenziale, nella loro devozione possono mettere anche molto denaro nel tesoro del tempio. Anche di questo abbiamo avuto e abbiamo esperienza nella chiesa. Solo cinquant’anni fa i primi banchi in chiesa avevano la targa in ottone con incisi i nomi dei ricchi che avevano fatto grandi offerte, e quei banchi erano loro riservati. E i poveri? In fondo alla chiesa, in piedi, perché anche le sedie messe a disposizione erano a pagamento. Nulla di nuovo dunque!
Gesù però vede e discerne tra tutti una donna – per di più vedova –, cioè una persona che non conta nulla in un mondo dominato da uomini, che sentono anche il tempio come qualcosa che appartiene a loro: le donne, infatti, non facevano assemblea davanti a Dio come loro e con loro. Questa povera donna avanza tra molti altri, nella sua umiltà, e sembra che nessuno possa notarla. Gesù invece la nota e la addita tra tutti come “la vera offerente”, la vera persona capace di fare un dono, di dare gloria al Signore. Costei getta solo due spiccioli, due piccole monete, ma ecco che Gesù commenta il suo gesto. E lo fa in modo solenne, introducendo le sue parole con: “Amen”, cioè: “È così, è la verità e io ve la dico”. “Amen, io vi dico: questa povera vedova ha gettato nella cassetta delle offerte più di tutti gli altri. Tutti, infatti, hanno preso dal loro superfluo; lei, invece, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva, tutto quello che aveva per vivere (hólon tòn bíon autês; alla lettera, ‘tutta la sua vita’)”. Questa vedova non dà, come gli altri, briciole di ciò che possiede; non dà l’offerta senza che ne consegua per lei una sofferenza; non offre denaro di cui non ha affatto bisogno, perché ne ha tanto in più: no, questa donna si spoglia di ciò che le era necessario per vivere, di tutto ciò che aveva, non di una sua porzione minima. Questa donna è per Gesù un’immagine dell’amore che sa rinunciare anche a ciò che è necessario: ecco una donna anonima, ma una vera discepola di Gesù. In questa pagina del vangelo il contrasto diventa ancora più forte: scribi che divorano le case delle vedove perché donne (non divorano le case dei vedovi!), perché povere, non difese da nessuno; e, al contrario, una di queste che dà in sacrificio al Signore ciò di cui lei ha bisogno per vivere, spogliandosi oltre misura.
Oggi quando parliamo di “chiesa dei poveri” dovremmo fare memoriale di questa donna, discepola di Gesù nella chiesa dei poveri da lei inaugurata, e dovremmo interrogarci su cosa diamo a quelli meno muniti di noi, ai più poveri. Noi che facilmente buttiamo via il cibo, qualche volta diamo ai poveri qualcosa che ci costringe a sentire un bisogno, a fare a meno di ciò che ci piacerebbe possedere o consumare? Si fa troppo presto a dire “chiesa povera” o “di poveri”: ne facciamo parte o ne siamo esclusi?
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI