Cookie Consent by Popupsmart Website

stemma e nome

Visualizza articoli per tag: omd

fosciandora-1Quando ad una casa si metteva il tetto si diceva che una prima parte del lavoro era terminata. Dal mese di marzo 2013 ad oggi sono stati fatti notevoli passi in avanti nel recupero del seminario di Fosciandora. I lavori hanno interessato sia l’interno che l’esterno dello stabile. Resta ancora moltissimo da fare. Il vecchio tetto è stato completamente smantellato e sostituito con uno nuovo di zecca, Nella stagione invernale i lavori non si fermeranno. Perché l’impresa “Cappelli” responsabile di tutta l’opera, lavorerà al totale rifacimento degli interni. La notizia che viene pubblicata sul sito internet dell’Ordine speriamo che faccia piacere a tutti i nostri benefattori, che naturalmente invitiamo ad una fattiva collaborazione. Chi volesse aiutarci può farlo sul conto corrente postale n° 22847008 intestato a Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, specificando “Lavori Santuario della Stella”.

24 novembre 2013
 
Pubblicato in 2013
Lunedì, 25 Novembre 2013 15:00

New Musical Academy “Recital pianistico”

piano1Domenica 24 novembre il New Musical Academy presenterà un Recital pianistico. Saranno eseguite musiche di Wagner, Brahms e Liszt a eseguirle il M° Antonino Fiumara.

24 novembre 2013
 
Domenica, 24 Novembre 2013 20:24

Papa Francesco conclude l’Anno della Fede

PapaFrancescoAnnoFedeCristo è centro della creazione, è centro del Popolo di Dio, è al centro della storia dell'umanità e di ogni uomo. Così Papa Francesco, nell'omelia della messa, ha riassunto il significato dell'Anno della Fede, che oggi si è chiuso. Nel corso della solenna cerimonia sono state esposte alla venerazione dei fedeli le reliquie dell'Apostolo Pietro. Il Papa ha salutato i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali, con cui ha poi scambiato la pace, ricordando la testimonianza fino al martirio di queste comunità cattoliche. La promessa di Gesù al buon ladrone -- ha detto nell'omelia -- ci dà una grande speranza: dice che la grazia di Dio è sempre più abbondante della preghiera che l'ha doman ta. Nel corso della celebrazione ha consegnato ad alcuni rappresentanti l’esortazione apostolica Evengelii Gaudium.

24 novembre 2013
 
Pubblicato in 2013
Venerdì, 22 Novembre 2013 11:55

Sarai con me!

268Cristo re dell'universo, proclama la liturgia. Ma dov'è il suo regno, dov'è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani? Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare alcuni tratti del Regno. Il primo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Riconoscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, trasfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Qui è posta l'immagine nuova di Dio, l'assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all'uomo, ma che si sacrifica lui per l'uomo. Che al centro dell'universo non pone se stesso, ma l'uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la propria gloria o l'adorazione, ma la vita piena dell'uomo. Regale è davvero questo amore che si inabissa, dimenticandosi, nell'amato. Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nulla di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell'uomo; innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l'inganno. Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell'uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l'inizio di una umanità nuo­va. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di una storia diversa, l'annuncio di un regno di bontà e di perdono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che domanda di entrare. Ricordati di me - prega il ladro morente. Sarai con me risponde l'Amore. Sintesi ultima di tutte le possibili pre­ghiere. Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - risponde l'Amore. Solo ricordati e mi basta - prega l'ultimo respiro di vita. Sarai con me, risponde l'immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte. Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di dimenticare se stesso dentro la paura e la speranza dell'altro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uomini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all'anima la tentazione o la capacità di una cultura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione suprema della dignità dell'uomo: nel suo limite più basso l'uomo è sempre e ancora amabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.
 
Etichettato sotto
Mercoledì, 20 Novembre 2013 20:00

Riparato il san Michele del Conca

san-micheleSfregiata dalla coltellata di uno sprovveduto qualche mese fa, la tela del San Michele di Sebastiano Conca (1680- 1746) è stata riparata con un intervento di conservazione della Sovraintendenza di Palazzo Venezia a Roma. La pala originariamente fu eseguita per la chiesa di S. Eustachio e venne collocata a Campitelli  nella cappella concessa da papa Benedetto XIII nel 1729 al Collegio dei Procuratori dei sacri palazzi apostolici.

21 novembre 2013
 
Pubblicato in 2013
Venerdì, 15 Novembre 2013 18:28

A testa alta

editoriale 15-11-13Con il suo linguaggio apocalittico il brano non racconta la fine del mondo, ma il significato, il mistero del mondo. Vangelo dell'oggi ma anche del domani, del domani che si prepara nell'oggi. Se lo leggiamo attentamente notiamo che ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un tornante che apre l'orizzonte, la breccia della speranza: non è la fine, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina. Al di là di profeti ingannatori, anche se l'odio sarà dovunque, ecco quella espressione struggente: Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; ribadita da Matteo 10,30: i vostri capelli sono tutti contati, non abbiate paura. Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato di ogni mio frammento. Il vangelo ci conduce sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall'altro il versante della tenerezza che salva. In questa lotta contro il male, contro la potenza mortifera e omicida presente nella storia e nella natura, " con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". La vita - l'umano in noi e negli altri - si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime. Scegliendo sempre l'umano contro il disumano (Turoldo). Perseveranza vuol dire: non mi arrendo; nel mondo sem­brano vincere i più violenti, i più crudeli, ma io non mi arrendo. Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arrendo. Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. Perché il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. La violenza si autodistruggerà (M. Marcolini). Il Vangelo si chiude con un'ultima riga profezia di speranza: risollevatevi, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, liberi: così vede i discepoli il vangelo. Sollevate il capo, guardate lontano e oltre, perché la realtà non è solo questo che si vede: viene un Liberatore, un Dio esperto di vita. Sulla terra intera e sul piccolo campo dove io vivo si scaricano ogni giorno rovesci di violenza, cadono piogge corrosive di menzogna e corruzione. Che cosa posso fare? Usare la tattica del contadino. Rispondere alla grandine piantando nuovi frutteti, per ogni rac­colto di oggi perduto impegnarmi a prepararne uno nuovo per domani. Seminare, piantare, attendere, perseverare vegliando su ogni germoglio della vita che nasce.
Etichettato sotto
Domenica, 10 Novembre 2013 10:35

Figli della risurrezione

editoriale 10-11-13I sadducei propongono a Gesù una storia paradossale per mettere in ridicolo l'ipotesi stessa della risurrezione. Ci sono molti cristiani come sadducei: l'eternità appare loro poco attraente, forse perché percepita più come durata che come intensità; come prolungamento del presente, mentre in primo luogo è il modo di esistere di Dio. C'erano sette fratelli, e quella donna mai madre e vedova sette volte, di chi sarà nell'ultimo giorno? Non sarà di nessuno. Perché nessuno sarà più possesso di nessuno. All'inizio, nei sette fratelli preme un'ansia di dare la vita, un bisogno di fecondità. Alla fine, l'ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione. In Dio e nell'uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare. La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all'ombra delle sue ali. Quelli che risorgono non prendono moglie né marito, dice Gesù. In quel tempo sarà inutile il matrimonio, ma non inutile l'amore. Perché amare è la pienezza dell'uomo e la pienezza di Dio. Saranno come angeli. Gli angeli non sono le creature gentili e un po' evanescenti del nostro immaginario. Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell'ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire, illuminare, reggere, rendere bello l'amore. Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità. «Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi». Dio «di»: in questo «di» ripetuto cinque volte è contenuto il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio ap­partiene a loro, loro appartengono a Dio. Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre... Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza. Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre. 
 
Giovedì, 31 Ottobre 2013 10:02

Amici di Dio

editoriale 31-10-13Non ci stanchiamo mai di ascoltare le nove beatitudini, anche se le sappiamo bene, anche se certi di non capirle. Esse riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di non violenza, di sincerità, di solidarietà. Disegnano un modo tutto diverso di essere uomini, amici del genere umano e al tempo stesso amici di Dio, che amano il cielo e che custodiscono la terra, sedotti dall'eterno eppure innamorati di questo tempo difficile e confuso: sono i santi. La storia si aggrappa ai santi per non ritornare indietro, si aggrappa alle beatitudini. Beati i miti perché erediteranno la terra, soltanto chi ha il cuore in pace garantisce il futuro della terra, e perfino la possibilità stessa di un futuro. Nell'immenso pellegrinaggio verso la vita, i giusti, coloro che più hanno sofferto conducono gli altri, li trascinano in avanti e in alto. Lo vediamo dovunque, nelle nostre famiglie come nella storia profonda del mondo: chi ha il cuore più limpido indica la strada, chi ha molto pianto vede più lontano, chi è più misericordioso aiuta tutti a ricominciare. Dio interviene nella storia, annuncia e porta pace. Ma come interviene? Lo fa attraverso i suoi amici pacificati che diventano pacificatori, attraverso gli uomini delle beatitudini. Il Vangelo ci presenta nelle beatitudini la regola della santità; esse non evocano cose straordinarie, ma vicende di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatiche, speranze, lacrime: nostro pane quotidiano. Nel suo elenco ci siamo tutti: i poveri, i piangenti, gli incompresi, quelli dagli occhi puri, che non contano niente agli occhi impuri e avidi del mondo, ma che sono capaci di posare una carezza sul fondo dell'anima, sono capaci di regalarti un'emozione profonda e vera. E c'è perfino la santità delle lacrime, di coloro che molto hanno pianto, che sono il tesoro di Dio. Le beatitudini compongono nove tratti del volto di Cristo e del volto dell'uomo: fra quelle nove parole ce n'è una proclamata e scritta per me, che devo individuare e realizzare, che ha in sé la forza di farmi più uomo, che contiene la mia missione nel mondo e la mia felicità. Su di essa sono chiamato a fare il mio percorso, a partire da me ma non per me, per un mondo che ha bisogno di esempi raccontabili, di storie del bene che contrastino le storie del male, di cuori puri e liberi che si occupino della felicità di qualcuno. E Dio si occuperà della loro: «Beati voi!».
 
Etichettato sotto
Sabato, 26 Ottobre 2013 18:24

Vele al soffio di Dio

editoriale 26-10-13Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, denuncia anche a noi i rischi della preghiera: non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli. Ci si allontana dagli altri e da Dio; si torna a casa, come il fariseo, con un peccato in più. Il fariseo inizia con le parole giuste: O Dio, ti ringrazio. Ma tutto ciò che segue è sbagliato: ti ringrazio di non essere come tutti gli altri, ladri, ingiusti, adulteri. Non si confronta con Dio, ma con gli altri, e gli altri sono tutti diso­nesti e immorali. In fondo è un infelice, sta male al mondo: l'immoralità dilaga, la disonestà trionfa... L'unico che si salva è lui stesso. Onesto e infelice: chi guarda solo a se stesso non si illumina mai. Io digiuno, io pago le decime, io... Il fariseo è affascinato da due lettere magiche, stregate, che non cessa di ripetere: io, io, io. È un Narciso allo specchio, Dio è come se non esistesse, non serve a niente, è solo una muta superficie su cui far rimbalzare la propria auto sufficienza. Il fariseo non ha più nulla da ricevere, nulla da imparare: conosce il bene e il male, e il male sono gli altri. Che è un modo terribilmente sbagliato di pregare, che può renderci «atei». Invece, nel Padre Nostro, modello di ogni preghiera, mai si dice «io» o «mio», ma sempre «tuo» o «nostro». Il tuo regno, il nostro pane. Il fariseo ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Vita e preghiera percorrono la stessa strada: la ricerca mai arresa di un tu, uomo o Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, ca­paci di incontro vero, quello che fa fiorire il nostro essere. Il pubblicano non osava neppure alzare gli occhi, si batteva il petto e diceva: Abbi pietà di me peccatore. Due parole cambiano tutto nella sua preghiera e la fanno vera. La prima parola è tu: Tu abbi pietà. Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa', il pubblicano la edifica attorno a quello che Dio fa. La seconda parola è: peccatore, io peccatore. In essa è riassunto un intero discorso: «sono un ladro, è vero, ma così non sto bene; non sono onesto, lo so, ma così non sono contento; vorrei tanto essere diverso, non ci riesco; e allora tu perdona e aiuta». Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, non perché più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si apre - come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento - a un Dio più grande del suo peccato, vento che fa ripartire. Si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.
 
Sabato, 19 Ottobre 2013 11:47

I sentieri di Dio amico

255Per mostrarci che bisogna pregare sempre senza stancarsi Gesù ci invita a scuola di preghiera da una povera vedova. Lungo tutto il vangelo il Maestro rivela come una predilezione particolare per le donne sole e le rende strumento di verità decisive. C'era un giudice corrotto in una città. E una vedova si recava ogni giorno da lui: fammi giustizia! Che bella immagine di donna forte, dignitosa; che non si arrende all'ingiustizia e nessuna sconfitta l'abbatte. In questa donna, fragile e indomita, Gesù mostra due cose: il modo di chiedere (con tenacia e fiducia) e il contenuto della richiesta. La vedova chiede giustizia a chi fa la giustizia, chiede al giudice di essere vero giudice, di essere se stesso. E così accade nel nostro andare da Dio: pregare è in fondo chiedere a Dio di darci se stesso. Ed è tutta la prima parte del Padre Nostro: sia santificato il tuo nome..., sia fatta la tua volontà.  Che è come chiedere Dio a Dio: donaci te stesso! Il grande mistico Maister Eckart diceva: Dio non può dare nulla di meno di se stesso. E Caterina da Siena aggiungeva: ma dandoci se stesso ci dà tutto . Ma allora perché pregare sempre? Non perché la risposta tarda, ma perché la risposta è infinita. Perché Dio è un dono che non ha termine, mai finito. E poi per riaprire i sentieri. Se non lo percorri spesso, il sentiero che conduce alla casa dell'amico si coprirà di rovi. Vanno sempre riaperti i sentieri del Dio amico. Ma come si fa a pregare sempre? A lavorare, incontrare persone, studiare, dormire e nello stesso tempo pregare? Innanzitutto pregare non significa recitare preghiere, ma sentire che la nostra vita è immersa in Dio, che siamo circondati da un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto. Pregare è come voler bene. Se ami qualcuno, lo ami sempre. Qualsiasi cosa tu stia facendo non è il sentimento che si interrompe, ma solo l'espressione del sentimento. «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre. Quand'è che la preghiera sonnecchia? Quando si raffredda il desiderio» (sant'Agostino).  Pregare sempre si può: la preghiera è il nostro desiderio di amore. Ma Dio esaudisce le preghiere? Sì, Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse (Bonhoeffer): il Padre darà lo Spirito Santo (Lc 11,13), io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora in lui (Gv 14,23). Non si prega per ricevere ma per essere trasformati. Non per ricevere dei doni ma per accogliere il Donatore stesso; per ricevere in dono il suo sguardo, per amare con il suo cuore.
 
© 2024 Ordine della Madre di Dio. All Rights Reserved. Powered by VICIS